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giovedì 28 marzo 2013

Marina San Giuseppe























Marina San Giuseppe a Ventimiglia (IM), Riviera dei Fiori.























Una zona molto nota e frequentata, per le spiagge, per gli stabilimenti balneari, per gli esercizi pubblici, per la passeggiata, per altro ancora.























Ormai chiusa a ponente dal costruendo porto turistico, che ha interrato lo scoglio della Margunaira, come qui ho già annunciato.

Un luogo, mediatamente, di tanti ricordi e di tanti momenti di vita di relazione per molti abitanti e per molti turisti, ma, anche se personalmente conservo memoria di avere visto per la prima volta il mare e le barche a remi (gozzi, di sicuro) a Marina San Giuseppe, mi preme ora mettere in evidenza altri aspetti.

 Uno sguardo a Porta Marina sarebbe già anticipatore.























Poco più in là del primo, girando l'angolo di una casa che porta ancora i segni della guerra (anche a questa avevo accennato mesi fa)...























la Chiesa di San Giuseppe.

Tra questa e scogli ormai scomparsi sorgeva, come sottolineano atti notarili del 1263, una casa ospedaliera, un ricovero gestito da religiosi per viandanti dell'epoca, presso la quale facevano sosta pellegrini diretti in Oriente in massime via mare. Una tappa saltata dal Petrarca che in un suo viaggio da Avignone a Roma dovette anticipare, causa maltempo, la sua sosta a Monaco, da cui ripartì in barca direttamente per Porto Maurizio. 

In anni più vicini a noi in Marina San Giuseppe ebbero anche base o da lì talora partirono pescatori per missioni clandestine della Resistenza: al quadro cui si inserivano queste attività avevo dedicato un blog specifico, purtroppo sparito con la chiusura della piattaforma ospitante, ma ho in mente di riprendere al più presto la pubblicazione di queste informazioni a questo link.

Sono piccole note di storia - altre, al pari di alcune di carattere geografico, ne ho tralasciate - che presento con una certa, anche se forse poco evidente, autoironia perché, pur disattendendo una sorta di impegno che qui una volta avevo preso circa il non cimentarmi in riscritture di annali locali e trascurando fortemente, in questo caso, di esplorare quel microcosmo di rapporti sociali che da lungo tempo è Marina San Giuseppe, non riesco a resistere alla mia ricorrente tentazione di parlare di cose a me vicine.



sabato 23 marzo 2013

Sasso


Sasso, Frazione di Bordighera.
























A poca distanza dal centro cittadino.























L'ho rimirato tante volte dal basso, ai Gallinai dove abitava la nonna materna con lo zio, da bambino e da adolescente, perché ero più attento a cercare di scoprire il mondo. .























La Parrocchia di S. Pietro e di S. Paolo.























A metà 1500 Sasso - ritenuta sede più sicura - accolse le famiglie degli eroici difensori della finitima Vallebona, i quali, asserragliati nella chiesa fortificata di S. Lorenzo, riuscirono a mettere in fuga i pirati turcheschi di Ulugh-Alì (detto anche Occhialì), sbarcati ai Piani di Vallecrosia, ma i cui piani di razzia erano stati nell'occasione fortunosamente svelati per tempo.

Perché Sasso era una delle "Ville" (le altre, in approssimativo ordine geografico, da levante, Bordighera, Vallebona, Borghetto S. Nicolò, Vallecrosia, S. Biagio della Cima, Soldano, Camporosso; nelle denominazioni moderne, perché all'epoca alcuni di questi fonemi differivano) che diedero vita alla "Magnifica Comunità degli Otto Luoghi", sorta nel 1686 dopo sforzi di lunga lena dietro concessione della Repubblica di Genova a configurare un distacco - nel complicato quadro del diritto di quel periodo - amministrativo - subire meno balzelli! - dal Capitanato di Ventimiglia. Una esperienza di breve durata, travolta dalla conquista - in questo caso - della Liguria da parte della Francia Rivoluzionaria, ma molto significativa, sulla quale a questo link si possono rinvenire maggiori informazioni.























Sasso ha dato i natali, nel tempo, a personaggi importanti o alle loro famiglie, ma vado per il momento a ricordare solo la giornalista e scrittrice Irene Brin, figura in ripresa di attenzione anche critica, la quale nel borgo, dove è deceduta, ha lasciato un giardino, curato tuttora da eredi, che coltiva la vocazione di galleria d'arte a cielo aperto.



Un amico mi ha raccontato di vecchie partite, penso a livello amatoriale, di "balùn", il pallone elastico o, ancora, palla pugno, che si facevano un tempo nel paese: preso dalla sua conferma di coloriti trasporti popolari, a me già noti, per questo sport e dal racconto di episodi, come quello di un giocatore del posto in grado, alla battuta, di squarciare la palla, mi sono dimenticato di chiedere quante reti di protezione, data la conformazione di Sasso, usassero allora stendere...



domenica 17 marzo 2013

Il Torrione























Il Torrione a Vallecrosia risulta incastrato, più che incastonato, tra la massicciata della ferrovia e le costruzioni di un istituto scolastico religioso. Certo, quelle suore sono più che disponibili a consentire scatti di fotografie a quell'antico bastione anti-turchesco, ma occorre ricordarsi di andare a suonare alla loro porta. 
Quando ero adolescente si diceva ancora andare al Torrione per definire la frequentazione della scuola dei Salesiani, posizionata poco più oltre, o per tentare di giocare nel campo cementato di calcio di quell'oratorio o per la visione di un film al cinema annesso, ancora funzionante oggi.























Poco più a destra - a levante - di quel balaurdo, lungo il mare, linea di confine con Bordighera, Via Rattaconigli, il cui nome da bambino mi sembrava tratto da una favola, mentre corrisponde alla tombinatura di un piccolo rio, che a monte qualche anno fa con la sua esondazione si é dimostrato alquanto pericoloso. 
Il relativo sottopassaggio vedeva spesso sul finire dell'ultima guerra muoversi in ore antelucane uomini del Gruppo Sbarchi della Resistenza, che conoscevano una strettoia sicura tra le mine disseminate sulle spiagge.























Talora agivano più a ovest, potendo contare sulla patriottica, clandestina collaborazione di alcuni bersaglieri, incaricati a turno della vigilanza di quel tratto di costa. 
Con barche a remi, attese al largo - nel proseguire delle missioni - da mezzi a motore degli alleati, quei partigiani trasportavano verso e dalla vicina Francia ormai liberata ex-prigionieri, agenti speciali, compagni feriti, armi. Tante azioni furono, comunque, condotte a forza di braccia.























Uno di questi eroi, ormai scomparso, era uso sostenere, quando ero giovane, che Vallecrosia era una mera città dormitorio. In effetti, tante furono in breve le costruzioni erette in una piana, quasi tutta destinata prima alla floricoltura.


Il centro storico sorge, invero, a qualche chilometro dal litorale, nella valle che porta a Perinaldo. Anche questo borgo fu interessato, quantomeno come base logistica, da talune attività dei prodi che si battevano per la Liberazione.
Vallecrosia credo abbia, intanto, finalmente assunto, anche per i nuovi residenti, una sua identità, che affonda  le radici nella storia locale.




giovedì 7 marzo 2013

Ciclisti indipendenti























Continua a scrivere di personaggi e di episodi relativi a Ventimiglia, di cui nella soprastante fotografia si può notare la zona che si affaccia sulla foce del fiume Roia, costante visibile nel corso di sue quotidiane passeggiate, intrise di affabulazione, Gianfranco Raimondo, attingendo a sue pregresse frequentazioni. Lo fa su Facebook, ma tralasciando per il momento altre sue notevoli esperienze dirette, soprattutto nel campo dello spettacolo, maturate non solo in Riviera e in Costa Azzurra, ma in larga parte d'Italia. 
Sul piano delle vicende locali, a volte la trama dei suoi ricordi diretti si incrocia con qualche mio scarno apporto. 
Così é per il medico Gibelli, antifascista militante, Sindaco della Liberazione, professionista straordinario e uomo gaudente, cui una volta ho dedicato su questo blog un veloce pensiero, attinto da memorie familiari, che corrisponde al ritratto che ne fa Gianfranco. 
E forse ho confinato nell'ambito di conversazioni private altre situazioni.

La vicenda di un ciclista d'anteguerra mi offre un singolare spaccato. Con verve che deriva anche dall'uso di parole in dialetto Gianfranco presenta un uomo del nostro passato, che campava facendo il pescatore, forte (calciava a piedi nudi grossi sassi come fossero palle di gomma), burbero, buono d'animo, ma anche, secondo Gianfranco, incline - caratteristica anche alquanto artata, perché non può mancare in un quadretto di folclore locale - a certe vanterie, come quella di avere raggiunto una volta Binda sul Turchino: personalmente non ho approfondito, ma se si trattava di un allenamento la cosa poteva, a mio giudizio, anche essere accaduta, perché io stesso ho sentito raccontare altri simili episodi relativi a professionisti del pedale d'antan in esercizio sulle strade della nostra Riviera.

Armando Lissa, nome del personaggio delineato da Gianfranco, era stato un ciclista indipendente, una categoria di cui si é persa la traccia e le cui caratteristiche forse risultano nette dal seguente episodio, ancorché inserito in un ciclismo - il periodo é sempre quello antecedente l'ultimo conflitto mondiale - ancora eroico. 
Lissa e un suo collega di questo Ponente Ligure partecipano quella volta ad una Milano-Sanremo. Si recano in bicicletta il giorno prima nel capoluogo lombardo, dove vanno a dormire nella stazione ferroviaria. La gara li vede fatalmente arrivare nella città dei fiori quando ormai é buio...
Gianfranco estrinseca il cognome di questo sodale, ma nella foga del racconto non realizza un pertinente collegamento: in diversi gli facciamo notare che se accenna ad un Croesi, non può non trattarsi della persona che fu a lungo Sindaco di Perinaldo e di cui io ho parlato qui.
Quando lo incontro nell'angolo già menzionato di Ventimiglia per un breve saluto, Gianfranco mi sostiene che il Lissa non gli aveva mai specificato molto del Croesi, ma, per una di quelle combinazioni di cui é piena la vita, in quel mentre sopraggiunge un comune conoscente con salde radici familiari in Perinaldo, che ci offre la puntualizzazione di un Croesi anche partecipante ad un Tour de France. Al che mi rendo conto di essere poco informato io che in precedenza ho dipinto il Croesi come un dilettante - non che un indipendente fosse cosa molto diversa, a dire il vero! - impegnato in prevalenza in Costa Azzurra: il dibattito già ingaggiato mi segnalava un Croesi vincitore di diverse gare italiane!
L'altro giorno vedo qui a Bordighera Giulio, al quale mi viene spontaneo dire che ho appena rintracciato in una fotografia comparsa sul Web la figura di un comune scomparso amico, antifascista torinese dall'animo colto e gentile. Spiegandogli che l'istantanea in parola colse il caro Guido, lassù come d'abitudine in vacanza estiva, vicino al Sindaco di Perinaldo in una certa occasione gioiosa con i ragazzini del paese, per riportarselo alla memoria Giulio per prima cosa mi cita la partecipazione di Croesi ad un Tour de France!
Gli unici a non sapere - nemesi storica! - di un episodio così affascinante, quasi leggendario per noi appassionati del ciclismo d'antan, siamo stati, a quanto pare, io e Gianfranco, il quale oltrettutto ancora oggi non si perde nessun tipo di corsa trasmessa sui vari canali del digitale terrestre...



giovedì 28 febbraio 2013

L'Aprosio e la sua terra























Posso immaginare che abbia visti ruderi simili a questi della fotografia, che sono, invero, ormai in qualche modo sistemati, ruderi che affioravano appena dalle sabbie accumulatesi con il tempo a Nervia di Ventimiglia (IM), il religioso ed erudito Aprosio a metà 1600, che trasse dalla sua scoperta non solo la convinzione di avere individuato la sepolta città romana, ma anche, con l'enfasi tipica della sua epoca barocca, l'ispirazione di paragonare quegli scomparsi antenati alla dimensione mitica di antichi troiani.























Ci fu chi, considerato allora insigne dotto da quelle - queste mie! - parti, contestò simili affermazioni di un Aprosio appena tornato in zona dopo decenni passati altrove - importante, ad esempio, il periodo di Venezia per le conoscenze là maturate -, rinfacciandogli che la presenza quirite si era, invece, affermata sul promontorio del successivo sviluppo medievale di Ventimiglia. Passarono più di due secoli perché si desse ragione al Nostro.

Già una riflessione di questa natura rende interessante, a mio avviso, la figura di Aprosio (al secolo Ludovico; Angelico come eremitano di S. Agostino; nato a Ventimiglia nel 1607 e ivi morto nel 1681). Io stesso ho considerato a lungo il fondatore della prima Biblioteca Pubblica della Liguria, che da lui prende il nome, solo un collezionista di libri, che si dilettava di artifici letterari barocchi, per l'appunto. Man mano che leggo della sua vita, dei suoi contatti con un certo mondo intellettuale, non solo italiano, ed anche di certe sue opere, la figura dell'Aprosio assume ai miei occhi una nuova dimensione, di uomo che ardeva dal desiderio di conoscere e che talora fu pavido per non soccombere a facili, ai suoi giorni, accuse di eresia. Per dire, fu anche Vicario dell'Inquisizione, ma molti indizi fanno supporre che avesse cercato quella carica soprattutto per poter leggere, in funzione della sua insaziabile curiosità, libri messi all'Indice. 
Conobbe Gian Domenico Cassini, il futuro grande astronomo.























Cassini che fece i primi studi, quelli di base, nella parrocchia di Vallebona.























E del quale mi piace, aprendo una divagazione, pensare che dalla natia Perinaldo passasse spesso da questo crinale, che comunque incombe su Vallebona e sulla Valle del Borghetto.

Fu l'Aprosio a mettere in contatto Cassini con un nobile di Genova, che per il giovane rappresentò una sorta di trampolino di lancio verso la successiva, luminosa attività.

C'é un particolare, tipico in quel secolo, che sottolinea il rapporto tra l'anziano agostiniano e l'astronomo, di lì a poco amico di Cristina di Svezia, ma soprattutto in seguito beniamino del Re Sole: il Cassini ormai emigrato mandò all'anziano religioso in dono un quadro che lo ritraeva, un segno preciso, nel simbolismo di quella società, di stima e di considerazione.

In quello che era ormai il suo eremo in Ventimiglia - il Convento nella piana tra il fiume e il torrente, che ospitava, mercé anche qualche accorgimento rispetto alle regole vigenti, quale dichiararla aperta al pubblico, la sua poderosa "Libraria" -, l'Aprosio aveva anche l'animo di sollevare lo sguardo da sue residuali incombenze e ancor più dalla sua fitta corrispondenza epistolare con il mondo della cultura a lui contemporaneo per accorgersi di dolenti aspetti di umanità intorno a lui, come la povertà dei pescatori di Bordighera, costretti a vendere il frutto delle loro dure fatiche a prezzi imposti su piazza a Ventimiglia...



venerdì 22 febbraio 2013

Via Due Camini






















Certe mie emozioni acquisiscono dimensioni particolari nel caso di racconti o romanzi, che delineano anche sommariamente, quasi per inciso, affidandosi alla cifra della memoria, certi angoli o certo vissuto di Ventimiglia (IM) e del Ponente Ligure. Soprattutto se scritti da un amico finalmente ritrovato o da chi non incontro più praticamente dai tempi della scuola. E, forse, il mio coinvolgimento è ancora più forte, perché sono libri da me scoperti e, quindi, letti, come mio solito, quasi trasognato, in ritardo.























Chi scrive di Ventimiglia di solito non può prescindere dal mare. Dalle piccole baie, dalle calette, dalle rocce, sempre più numerose verso la frontiera. E c'è, tra gli autori cui ho qui solo accennato, chi sottolinea che, a esplorare e vivere questi paesaggi, e questo ambiente, una vera barriera con la Francia non vi sia mai stata.






















Ho anche rinvenuto una intrigante scansione, alla quale si affida un personaggio, di nomi di monti ben visibili dalla costa del Ponente Ligure.
In questa fotografia, scattata verso la confluenza di Via Due Camini con la Frazione di San Bernardo di Ventimiglia, si può notare una scarna selezione di cime e di colline. Una zona densa di trasformazioni, ormai, e di riferimenti di vario ordine, che mi porterebbero in ogni caso fuori discorso.

Sarebbe in tema la vecchia trattoria più indietro, verso il mare, di Via Due Camini, semplicemente detta, appunto, "Due Camini", meta tradizionale per tanti anni di gite fuori porta, rimaste nel vissuto popolare, anche perché quell'esercizio da tempo è chiuso. Per varie associazioni di idee è riemersa viva nella mia mente una giovanile serata di fine estate, fatta quasi di niente, se non del discorrere allegramente in compagnia salendo e ridiscendendo, dopo breve ristoro lassù, in città: ero ancora inconsapevole che l'età della spensieratezza stava finendo.


Qualcuno, per un'altra comitiva, almeno una foto l'aveva, invece, pur fatta, ai Due Camini.























Più sotto ancora il Roia apre la sua foce. Su quella parte di lungofiume la Battaglia di Fiori, cui ho accennato nel mio ultimo post, si é sempre svolta. Un altro libro mi porta a rammentare un aspetto di quella manifestazione che ho trascurato, quello dei balli popolari conclusivi, in questo caso quelli di una volta nel Mercato dei Fiori. Il romanzo in parola venne scritto circa sessant'anni fa da persona appena trasferitasi con la famiglia nella città di confine: l'entusiasmo con cui vengono descritti gli aspetti salienti di questa kermesse - a ben guardare anche altro, come la zona di mare di confine - nella trama del racconto appare molto genuino e spontaneo. 
E Ventimiglia, intesa come insieme di fattori qui solo adombrati, continua - al netto dell'effettiva resa artistica dei singoli - a suscitare di queste impressioni...



sabato 16 febbraio 2013

Verso la Battaglia di Fiori

Mi induce a entrare sul tema Battaglia di Fiori di Ventimiglia, su cui mi ero sinora trattenuto, perché non sono competente, ma solo semplice appassionato e discontinuo spettatore, una recente notarella su Facebook dell'amico Gianfranco Raimondo, che, una volta tornato dalla vacanza nelle Filippine, ha dato avvio alla preannunciata serie di memorie locali, vieppiù sollecitate da altri suoi corrispondenti. 
Gianfranco é stato carrista e da spettatore non hai mai perso un'edizione - quelle del dopoguerra - della Battaglia. 
In un'occasione, nel 1961, fu anche - per il solito, ricorrente discorso di carenze finanziarie - il presentatore ufficiale dell'iniziativa, che in quegli anni poteva contare, per fattori di simpatia o di amicizia, su collaboratori e ospiti di grande richiamo, tra cui vado adesso a evidenziare solo Cary Grant e Walter Chiari. A Gianfranco nell'occasione toccò in sorte di avere come collaboratrice Elke Sommer, attrice all'epoca molto famosa. E di fare i classici salti mortali per sopperire ad un'esigenza sollevata dal segretario - in seguito mio caro, indimenticabile amico - del Comitato Organizzatore, che lo aveva pregato di tirare in lungo con considerazioni varie quanto comunicava per altoparlanti al pubblico assiepato, per consentire l'ingresso sul corso di sfilata di un carro in ritardo per pregressa avaria.
Non mi é facile tirare le fila di questo argomento, la Battaglia di Fiori, neppure consultando alcune fonti scritte, perché sono troppi gli aspetti singolari che emergono. 
Tento qualche sintesi. 
Già in pieno sviluppo negli anni '30 del secolo scorso, la Battaglia, interrotta nella sua sequenza dalla guerra, conobbe in seguito il massimo fulgore sino alla forzata interruzione nel 1969, a causa soprattutto del pesante costo dei garofani, componente essenziale dell'addobbo dei carri e sino ad una certa data reperibili gratuitamente allo stadio della loro ultima fioritura (se ricordo bene, la cosiddetta terza), in quanto ancora ampiamente diffusa in zona la loro coltivazione. Per molte persone si tratta del periodo dei carri più belli e imponenti: anzi, diversi vennero messi fuori concorso, perché eccedenti le misure limite, stabilite dal regolamento. 
In quella fase i carri, soggetti - come ancora adesso - alla cosiddetta infioratura a mosaico (garofani infissi con chiodi molto lunghi) -, quasi completa sino ad abbracciare le fiancate dei carri, con l'esclusione di minime percentuali di semprevivi, in genere per i volti delle raffigurazioni - , avevano una base di muschio, stretta con rete metallica su un minimo di supporti metallici sino a formare le sagome, previste dai progetti. Racconti sentiti ancora di recente mi parlano del muschio raccolto nei boschi in funzione di provvista già in inverno, anche da ragazzini. O, nell'esempio di un quartierino di Bordighera, a me caro nell'infanzia per motivi familiari e che diede il nome ad una compagnia molto spesso vincitrice, tutte le vasche da bucato dei giardinetti occupate per giorni a tenere freschi nell'acqua i garofani - migliaia e migliaia! - necessari per il carro di quel gruppo.
Tornando alla storia della manifestazione, aggiungo che la medesima venne ripresa, con contributi pubblici ormai sostanziosi, negli anni '80 e che, dopo breve interruzione a due anni dalla ripresa, si svolge tuttora, magari incappando come l'anno scorso per le solite difficoltà finanziarie nel dover effettuare un'edizione striminzita, vale a dire con carri mini.
Dovrei aggiungere delle origini della Battaglia. Degli antichi riferimenti all'economia locale. Della passione popolare, ancora cospicua, ma una volta degna del Palio di Siena. Dei conseguenti aneddoti che la circondano. Della sua grande risonanza fuori zona degli anni '50 e '60. Delle inevitabili, vive memorie di carattere personale. Del fatto che oggi la cosiddetta anima dei carri é in polistirolo e che si é abbastanza ridotta la superficie ricoperta a garofani, quelli ormai pagati cari e importati. Che con la progressiva scomparsa di spazi utili i capannoni dove costruire i carri non vengono più eretti in modo disseminato sul territorio, ma sono raggruppati in pochi siti, per cui é andata di fatto fuorigioco la copertura d'antan di certi segreti professionali. Che ci sono in archivi, gelosamente custoditi, ma anche in circolazione sul Web, tante immagini: io stesso mi sono ritrovato in casa fotografie che non pensavo di avere...