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mercoledì 3 aprile 2024

Luci ed ombre sugli uomini della Missione Flap


C'é un rapporto segreto inglese, redatto dal capitano G. K. Long, artista di guerra, in riferimento alla Missione Flap, condotta, con culmine nell'ottobre 1944, tra i Partigiani, nel Basso Piemonte, del comandante Mauri, e i Partigiani della I^ Zona Operativa Liguria.
Il documento in questione era stato rintracciato a cura di Giuseppe "Mac" Fiorucci per la preparazione del suo Gruppo Sbarchi Vallecrosia, IsrecIm, 2007. Della Missione Flap scrisse anche il capitano Paul Morton, canadese, corrispondente di guerra, in Mission Inside, ma edito solo nel 1979 a Cuneo da L'Arciere, e soprattutto per le insistenze di partigiani piemontesi: il Toronto Star aveva pubblicato il 27 ottobre 1944 un solo articolo dei nove che Morton aveva preparato superando le censure degli uffici militari preposti e per giunta lo aveva già licenziato. Long non aveva solo stilato la suddetta relazione, ma aveva anche messo mano a dei disegni che avrebbero dovuto completare il lavoro del collega giornalista, ma questi, invero, vennero dopo tanti anni pubblicati solo nel citato Mission Inside.

Dal documento di Long si estrapolano nella presente occasione le seguenti frasi: Alle 6 di sera del [giorno non precisato, ma dovrebbe essere stato  il 7 ottobre 1944] partimmo per ROCCHETTA [Rocchetta Nervina (IM)] dove giungemmo dopo quattro ore di marcia. Ripartimmo di nuovo a mezzanotte con la guida PIERINO LOI che ci diresse attraverso la parte principale delle postazioni armate tedesche raggiungendo la periferia di VENTIMIGLIA dopo sei ore di marcia. Qui rimanemmo in un piccolo riparo dietro alla casa dei genitori della guida... Noi avevamo viaggiato da PIGNA in vestiti civili e siccome stava piovendo dalle 6 di sera quando dovemmo attraversare la città, potemmo indossare dei sacchi sulla testa nel modo in cui lo facevano i contadini, il che si aggiunse al nostro travestimento. Camminammo 2-3 chilometri lungo la strada principale che costeggia il fiume ROIA ed attraversammo il ponte nella città vecchia passando oltre le sentinelle tedesche senza sollevare il minimo sospetto ed andando alla casa del pescatore sulla spiaggia. Qui rimanemmo dalle 7 di sera fino a mezzanotte... A mezzanotte portammo la barca (lunga approssimativamente 14 piedi con quattro remi) per una strada e giù attraverso la spiaggia di ciottoli - l'unica area non minata - fino al mare. I pescatori ci portarono vogando, senza ulteriori incidenti, in 3 ore e mezza a Monte Carlo (MONACO) dove sbarcammo [quindi, approssimativamente alle ore 4 del 9 ottobre 1944, data in ogni caso indicata da Brooks Richards, Secret Flotillas, Vol. II: Clandestine Sea Operations in the Western Mediterranean, North Africa and the Adriatic, 1940-1944, Paperback, 2013] e ci arrendemmo alla  guarnigione F.F.I. La mattina seguente guidammo fino a Nizza e facemmo rapporto al Maggiore H. GUNN delle Forze Speciali ... A Nizza informammo il Colonnello BLYTHE del quartier generale della task force della settima armata americana circa la squadra dei quattro prigionieri di guerra che ci avevano lasciato per TENDA. Fino a quel momento non era arrivata nessuna loro notizia attraverso le pattuglie americane in quell'area... I pescatori erano in grado di fornire informazioni preziose alla Sezione di Interpretazione Fotografica del quartier generale americano sulla Forza Tedesca, posizioni delle armi, campi minati, ecc. a VENTIMIGLIA. (Mr. Paul Morton ha i nomi e i documenti di questi due uomini che darà senza dubbio alla Rappresentativa delle Forze Speciali n.1 con P.W.B.  a Roma). Questi uomini furono poi consegnati dal Maggiore GUNN al Capitano Jones, Esercito Americano a Nizza... PIERINO LOI, la guida procurata da LEO, mise su un'operazione straordinaria e non perse nemmeno una volta la pista durante le sei difficili ore di marcia da ROCCHETTA a VENTIMIGLIA... I pescatori sono sicuri che questo percorso  (Ventimiglia - Monaco o Mentone) potrebbe essere usato con successo in entrambi i sensi. Essi affermano che si potrebbero evacuare da VENTIMIGLIA fino a venti persone alla volta se fosse disponibile un'imbarcazione più grande. Ciò vedemmo ed annotammo, e si può attestare che i pescatori condussero a termine il loro piano di evacuazione senza alcuna deviazione... 

In seguito il capitano Michael Lees, che era già stato prima della Flap responsabile di svariate imprese segrete, venne "dimenticato", ad usare un eufemismo, dalle autorità inglesi perché dopo il suo passaggio dal ponente ligure aveva comunque compiuto con efficacia ed eroismo, ricavandone gravi ferite (per la quinta volta!), la Missione “Tombola” (così in inglese!), sull’Appennino  a sud di Reggio Emilia, un'azione che era all’ultimo stata… annullata dalle autorità superiori. Insomma, Lees aveva disobbedito agli ordini, perché, invece, aveva condotto l'attacco (che non si doveva più effettuare!) alla postazione tedesca insieme a partigiani garibaldini di quei luoghi, a uomini della Sas, e al maggiore Roy Farran, il quale per varie circostanze se la cavò in seguito con più onore di Lees, rimanendo, al contrario di Lees (congedato piuttosto frettolosamente!)  in forza all’esercito. E non era neppure mancato, per quell’assalto notturno del 27 marzo 1945 al comando tedesco di Villa Rossi e Villa Calvi in Albinea (RE), l’accompagnamento di una cornamusa scozzese suonata da David Kirkpatrik, perché i nazisti intendessero bene che erano stati colpiti da militari, così da non compiere una delle loro tante efferate rappresaglie su civili innocenti.

L'episodio SAS Italian Job della serie televisiva Secret War della BBC (2011) era imperniato sulla Operazione “Tombola“. Su Rai Storia a giugno 2020 una trasmissione ha, inoltre, affrontato risvolti successivi degli accadimenti occorsi a Lees e a Farran (aspetti di cui si parla anche nel più recente Malcolm Tudor, SAS in Italy 1943-1945: Raiders in Enemy Territory, Fonthill Media, 2018).

Adriano Maini

martedì 5 dicembre 2023

Santiago, Riccardo, Pier delle Vigne e Leone

San Giovanni, Frazione di Sanremo (IM): campagne abbandonate

Si presta a qualche considerazione di carattere locale la recensione di Marco Belpoliti a "Lettere a Chichita (1962-1963)" a cura di Giovanna Calvino, volume dato in uscita presso Mondadori e recensione apparsa sabato 7 ottobre scorso su "la Repubblica" con il titolo «Italo Calvino: “Perché credo negli angeli”» - e sommario «In un suo manoscritto il grande autore svela gli incontri con alcune figure che hanno avuto su di lui un’influenza benefica o salvifica. E su Robinson l’intervista alla figlia e un racconto in esclusiva» -. Dalla scheda di presentazione del citato libro, come già pubblicata, invece, dalla casa editrice milanese sul Web, si possono estrapolare queste parole: "Il primo appuntamento con Chichita, a Parigi nell'aprile 1962, è uno dei momenti che Calvino identificava come cruciali nella propria parabola esistenziale, insieme alla partecipazione alla Resistenza e all'ingresso nella casa editrice Einaudi [...] Ritrovate dalla figlia Giovanna, quelle missive del 1962-1963 sono qui pubblicate per la prima volta assieme a un testo inedito coevo, 'Sulla natura degli angeli', e a una delle risposte di Chichita. Se ne ricava l'affresco di una quotidianità ricca e sfaccettata: oltre alle immancabili incomprensioni della comunicazione a distanza, l'attesa degli incontri con la donna amata, le complicazioni logistiche degli spostamenti (Sanremo-Torino-Roma-Parigi), le luci e le ombre del lavoro editoriale, l'irresistibile richiamo della vocazione letteraria".
Il giornalista concentra la sua attenzione sul manoscritto, di cui riporta anche la data, primo ottobre 1963.
Da Belpoliti vengono citati tre ex partigiani di Sanremo,  ricordati con particolare intensità ("«in sodalizio fraterno» legato a «un'allegria che mai nessuna compagnia d'amici mi ridarà così piena»") da Italo Calvino nel predetto documento, Adriano S., Pier delle Vigne (Pietro Sughi) e Jaurès Sughi (Leone), "altri angeli dei suoi [dello scrittore] inizi: i compagni della Resistenza, quelli che l'hanno introdotto nella lotta partigiana [...] ex-boxeur, futuro gangster [il primo] [...] avanzo della legione Straniera [il secondo], l'altro avanzo di galera [il terzo]". Probabilmente si tratta del primo documento in cui Calvino abbia scritto di questi suoi vecchi sodali. Oltrettutto, Calvino, uso del resto a scrivere in terza persona, nei suoi lavori celava sotto nomi di fantasia personaggi reali.
Adriano S. è da identificare con Adriano (Riccardo) Siffredi, non fosse altro per il fatto che si riporta la notizia della sua morte come avvenuta a Dien Bien Phu, come noto luogo della sconfitta subita nel 1954 dall'esercito francese contro i Việt Minh guidati dal generale Giap, sconfitta che portò alla fine di quella guerra, con i conseguenti accordi di pace di Ginevra, i quali sancirono l'indipendenza - anche se poi la storia vide altri tragici eventi, come la guerra in Vietnam che coinvolse gli Stati Uniti - dell'Indocina. Questa deduzione attinente la figura di Siffredi può essere fatta alla luce di una tradizione orale che, in quanto tale, si lascia in queste righe in un alone di indeterminatezza. Sarà sufficiente aggiungere qualche frase desunta da un articolo, senza titolo, se non quello della rubrica, "Corriere di Sanremo", della "Cronaca di Imperia" de "Il Lavoro Nuovo" (all'epoca quotidiano, con sede a Genova, del Partito Socialista) di domenica 2 ottobre 1955, in una copia conservata da Giorgio Loreti, infaticabile animatore delle iniziative dell'Unione Culturale di Bordighera: "E' tornato dopo la lunga assenza, attraverso diecimila miglia di quel mare che amò con passione quasi morbosa, è tornato ai fiori e agli olivi della sua terra cui donò nei giorni dell'ira e del riscatto l'indomito ardore della giovinezza Adriano Siffredi, il «Riccardo» della nostra lotta [...] Non altrimenti vogliamo ricordarlo questo ventenne comandante partigiano, terrore ai nemici, esempio ai compagni, sprone agli ignavi: tutto il resto si spegne dinanzi alla luce che promana dalla sue gesta: Bignone, San Romolo, Borello, Via Privata, Piazza Colombo, Villa Impero... ovunque vi era un'azione da compiere, un amico da salvare, un nemico da snidare Adriano Siffredi ed i ragazzi-eroi della Matteotti furono sul posto, senza nulla chiedere se non di marciare alla testa dell'Esercito di Liberazione [...]". Il padre, Adolfo Siffredi, patriota antifascista (Fifo), fu il primo sindaco di Sanremo alla Liberazione. La figlia, Eleonora Siffredi, è una valente artista. Riferimenti ad Adriano Siffredi, poi, risultano in modo confuso in dichiarazioni contorte ed evasive contenute nel Diario (brogliaccio) del distaccamento di Sanremo della Brigata Nera "A. Padoan", documento di cui si dirà meglio dopo.

Una pagina del brogliaccio della Brigata Nera di Sanremo in cui appare più volte il nome di Adriano Siffredi

A differenza di Adriano Siffredi, che non viene mai evidenziato nelle recensioni critiche - quantomeno quelle più note - dei lavori di Italo Calvino (il cui nome di battaglia da partigiano era "Santiago"), sui fratelli Sughi esiste una discreta letteratura, dalla quale si può attingere qualche citazione. Premesso che anche Pier delle Vigne e Leone furono valorosi partigiani, si può rammentare - andando in ordine sparso - che Calvino e Jaures Sughi militarono insieme nell'estate del 1944 nella SAP "Matteotti" di Sanremo; che Pietro Sughi aveva raccontato a Pietro Ferrua (che lo riferisce nel suo "Italo Calvino a Sanremo", Famija Sanremasca, 1991) della grotta nella campagna di San Giovanni, Frazione di Sanremo, attrezzata dal padre Mario Calvino, dove in talune circostanze si nascosero Italo, il fratello Floriano - anch'egli partigiano - ed altri patrioti; che quando, nel corso del rastrellamento del 15 novembre 1944, che investì anche San Giovanni, Italo venne catturato - e si salvò dalla fucilazione perché potè esibire un surrettizio foglio di licenza - insieme a lui cadde prigioniero Jaures Sughi, destinato a salvarsi per altre vie, mentre Pietro Sughi e Floriano Calvino erano riusciti a fuggire prima dell'accerchiamento; che sempre Pietro Sughi, "Pier delle Vigne", spiegò a Pietro Ferrua il retroscena reale dell'episodio dell'incendio nel casone riportato ne "Il sentiero dei nidi di ragno": «Cosa era successo in realtà? I partigiani erano pieni di pidocchi e spidocchiandosi sulla fiamma ad uno prese fuoco la camicia, che appiccicò fuoco al canniccio sul quale c’erano delle munizioni». Si aggiunga che "Pier delle Vigne" Sughi era attivamente ricercato dalle Brigate Nere di Sanremo; alcune note del brogliaccio di questa milizia fascista, lette a distanza di tempo, assumono il tono del picaresco, se non del grottesco, specie quella del 1 febbraio 1945 (il che lascia intendere che dalle parti di San Giovanni i partigiani erano ben tornati):"... informa che la concubina di Pier de la Vigna (Sughi Pietro) parte sempre alle ore 9 e 1/4 antim. e ritorna alla sera alle 19 circa (o alle 18 3/4) per andare da Pier de la Vigna (suo concubino) a portargli da mangiare. Fa il seguente itinerario [...] Di lì va alla Madonna del Borgo. Prende la mulattiera. Va al golf e di lì a S. Giovanni. Ci dev'essere un casolare di campagna, isolato, vecchio, dove non abita nessuno, a destra della strada mulattiera, una mezz'oretta - o venti minuti - dopo la Chiesa di S. Giovanni. Sotto c'è la stalla e sopra ci sono due camere [...] Pier de la Vigna e la concubina stanno insieme e mangiano insieme. Generalmente vi sono altri due ribelli [...]". 

Lo schizzo della zona di San Giovanni a Sanremo fatto da un brigatista nero

La copia del documento di identità di Pietro Sughi nel brogliaccio della Brigata Nera di Sanremo

La pagina in questione riporta anche uno schizzo della zona; la stesura del brogliaccio viene interrotta pochi giorni dopo, per lo meno nella copia in dotazione a Paolo Bianchi di Sanremo, da cui qui si attinge; a gennaio 1945 in questo diario viene, altresì, allegata la carta d'identità di Pietro Sughi o una sua riproduzione.
 
Adriano Maini

venerdì 1 dicembre 2023

E Italo Calvino testimoniava a favore di un ex soldato repubblichino

Sanremo (IM): il Monumento ai Partigiani - opera del patriota resistente Renzo Orvieto - sito davanti all'ex Forte di Santa Tecla, dove brevemente fu rinchiuso anche Italo Calvino

Leggendo articoli di quotidiani e di portali web, sembra che non solo per Sanremo e per Bordighera - come si è già visto su questo blog -, ma che per tutta la provincia di Imperia durante la seconda guerra mondiale ci fosse un gran pullulare di spie, ma non di spie qualsiasi, bensì di quelle che oggi rendono appassionanti film, serie televisive e romanzi d'azione. Solo che Kgb e Cia all'epoca non c'erano ancora! E non ci fu neppure nulla di paragonabile a esperienze vissute da personaggi quali Richard Sorge, Kim Philby, ‎Anthony Blunt, ‎Guy Burgess o i membri dell'Orchestra Rossa.
Neppure, forse, nella limitrofa Costa Azzurra.
Detto questo, ad onor del vero furono numerose le operazioni segrete - raramente spettacolari - condotte da o verso la Costa Azzurra da alleati, partigiani, nazifascisti.
Su questo panorama e su quello delle fitte trame intessute sul territorio imperiese c'é da credere che sarà molto illuminante il prossimo libro degli storici locali Giorgio Caudano e Paolo Veziano.
Il grosso degli accadimenti, in ogni caso, riguardava infiltrati - per fortuna, molti a favore della Resistenza! -, sicofanti, voltagabbana, traditori, delatori, opportunisti.
In questo quadro ci sono fatti noti, altri meno, altri pressoché inediti.
 
In questo vasto campo non si può fare altro che procedere con degli esempi.
 
In ordine alle tristi collaborazioni con i nazifascisti si può evincere che "un fascista repubblicano" di Imperia denunciava il 13 febbraio 1944 due funzionari dell'Ufficio Provinciale delle Corporazioni per generici gesti antifascisti compiuti dopo il 25 luglio 1943; che ci furono, sempre nel capoluogo, altre analoghe denunce; che un impresario edile di Sanremo si dichiarava protetto dalle S.S. tedesche; che molto pesanti furono le accuse a carico di una donna abitante a Bordighera; che a Sanremo il borghese "robusto, statura piuttosto alta, età circa 50 anni, colorito bruno, capelli leggermente brizzolati, barba rasa [...] del quale ho dato i connotati, che secondo me guidava la spedizione, mi disse che era stato lui ad andare dal comando tedesco" (come da un verbale di interrogatorio, oggi documento in Archivio di Stato di Genova - ricerca effettuata da Paolo Bianchi di Sanremo - < fattispecie in seguito in questo post contrassegnata come AS GE>), avrà quasi di sicuro indotto altri rastrellamenti, oltre quello qui appena accennato e nel corso del quale vennero falcidiati i partigiani fratelli Zoccarato; che sempre a Sanremo un mutilato di guerra "che camminava con i bastoni" era comunque in grado di dare informazioni nocive agli antifascisti; che era piuttosto losca la figura dell'impresario di Sanremo del quale "... parecchi giorni dopo si seppe che era stato preso l'O. Il 15 novembre [1944], pochi giorni dopo l'arresto dell'O., i nazi-fascisti effettuarono un  rastrellamento nella zona di San Romolo [n.d.a.: le responsabilità di questo O. per la tragica fine di così tanti partigiani a San Romolo, tra i quali il vecchio gappista Aldo Baggioli, il giorno stesso in cui venivano preso anche Italo Calvino, erano ribadite dall'ex graduato delle SS Ernest Schifferegger - documento statunitense agli atti -] .... tutto San Romolo è voce comune che nel secondo rastrellamento, avvenuto otto giorni dopo, vi era... il quale alla presenza del figlio del custode di Villa Marsaglia presentò ai tedeschi una lista nella quale vi erano tutti i finanziatori dei Patrioti" (AS GE); che SS francesi ancora al 22 aprile 1945 mandavano informazioni carpite a danno dei partigiani al comando locale della X Mas. 
 
Se si leggono alcuni carteggi, quali i documenti in archivio IsrecIm, riassunti da Rocco Fava di Sanremo nella sua tesi di laurea del 1989, si capiscono, inoltre, in controluce talune contromisure adottate dai garibaldini. Il 18 gennaio 1945 "Dario", Ottavio Cepollini, informava la Sezione SIM (Servizio Informazioni Militari) della Divisione d'Assalto Garibaldi  "Silvio Bonfante" che "da parte dei tedeschi continua l'interrogatorio di 'Giulio' e 'Dek', 'Boll' collabora con i tedeschi, viene messo spesso con gli arrestati e con il pretesto di essere caduto anche lui in trappola cerca di carpire notizie utili da riferire ai tedeschi. Si cercherà di fare eliminare 'Boll' proprio dai tedeschi. I tedeschi a Pieve di Teco stanno ricostruendo il ponte crollato". Il 1 marzo 1945 la Sezione SIM del CLN di Sanremo avvisava la Sezione SIM della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" che "... a Sanremo si stava intensificando l'attività spionistica dei tedeschi... era inutile l'attacco contro il sarto Sofia". Il 16 marzo 1945 il CLN di Sanremo informava la Sezione SIM della V^ Brigata che "si trovava di nuovo a Sanremo il 'famigerato maggiore' tedesco Kruemer". Il 28 marzo 1945 "Carmelita" segnalava al C.L.N. di Sanremo  che tra i più assidui informatori dei tedeschi vi era un certo colonnello Alberto Neri, abitante a Sanremo, invalido, ex combattente dell'esercito francese, in diretto contatto con il capitano "Frank" e che un'altra informatrice era una donna sudamericana di nome "Pegg", intima amica del Neri stesso. Il 30 marzo 1945 il responsabile "S. 22", G.B. Barla del SIM della I^ Zona Operativa Liguria scriveva al comando della I^ Zona Operativa Liguria che occorreva procedere all'arresto della spia Seccatore (Coccodé), su cui si erano già date informazioni e che stava agendo a Molini di Prelà.  
 
Si riportano spesso in letteratura specialistica il passaggio di confine con la Francia compiuto in tre direzioni o punti diversi da tre gruppi della missione britannica Flap, cui si erano aggregati, tra gli altri, patrioti del Piemonte, piloti ed avieri, ex prigionieri, e l'arrivo dell'ufficiale di collegamento con la I^ Zona Operativa Liguria Robert Bentley, del Soe. Meno conosciuti, invece, sono - nel novero del Oss - i passaggi della missione Youngstown e di quella Zucca, alla quale ultima partecipava anche Vincenzo Stimolo, un eroe delle Quattro Giornate di Napoli, fallita casualmente alla stazione ferroviaria di Santo Stefano al Mare, mentre poco al largo un sottomarino aspettava di sbarcare il vero referente, un responsabile del servizio statunitense, Bourgoin.
 
Ventimiglia (IM): a sinistra la casa - di colore rosa - in Marina San Giuseppe dove venne ucciso il capitano Gino Punzi

Una storia straordinaria è quella del capitano Gino Punzi, infine reclutato dagli americani Oss antenna di Nizza, nella cui tragica vicenda si incontrano maquisard, poliziotti fascisti prima di Ventimiglia poi di Imperia ma impegnati a sostenere in segreto la sua azione di costruzione di una rete antifascista, patrioti italiani quali Giuseppe Porcheddu, il maggiore degli Alpini a riposo di Ventimiglia Luigi Raimondo - già impegnato a margine della missione Flap -, Chiappa padre e figli di Bordighera, partigiani di passaggio in Costa Azzurra che tentarono di affidargli messaggi di delazione da recapitare ai loro Comandi circa loro compagni dediti a presunte o veritiere attività illecite, pescatori contrabbandieri chi in ferale ritardo chi fatale traditore: il capitano Gino, colpito da tergo alla testa con un'ascia, ricevette il colpo di grazia a Marina San Giuseppe di Ventimiglia per ordine di un agente della S.R.A. della Marina da guerra tedesca di stanza a Sanremo.
 
A danno della Resistenza Imperiese è celebre il caso della cosiddetta "donna velata" che, dopo essersi infiltrata tra i partigiani, creò i presupposti per alcune efferate stragi nazifasciste, soprattutto ad Imperia. Lo è meno quello di Olga, nome fittizio di una giovane, forse jugoslava, di cui parla Michael Ross nel suo libro di memorie "From Liguria with love". Ross, inglese, già prigioniero di guerra a Fontanellato di Parma, dopo essere stato, insieme al suo compagno di fuga Bell, prima aiutato dal martire antifascista Renato Brunati e dalla sua compagna Lina Meiffret, poi, dopo il fallito tentativo di arrivare in Corsica in barca a motore, ospitato in clandestinità per mesi e mesi a Bordighera da Giuseppe Porcheddu - che aveva acceduto alle istanze di Brunati e di Meiffret, i quali sentivano imminente il loro arresto da parte della miliza fascista - si trovava, sempre con Bell, ai primi del 1945 tra i partigiani della zona di Taggia. Per due volte la spiaggia di Arma di Taggia da dove i due - ed altri militari alleati - avrebbero dovuto attendere il canotto di un sottomarino, attivato grazie ai messaggi radio del telegrafista di Bentley, fu, invece, teatro di uno scontro, rischiarato dai bengala tedeschi, tra partigiani e nazisti, con conseguente fallimento della prevista esfiltrazione. Non ci fu un terzo scontro, perché sia i tedeschi che il comandante - che non si era più potuto avvisare - del mezzo navale attesero invano. I garibaldini avevano capito il tradimento di Olga, che venne pertanto giustiziata con un colpo di pistola alla nuca alla presenza dei due britannici: la sua salma venne seppellita in fretta e furia. A marzo 1945 Ross e Bell partirono infine in barca a remi da Vallecrosia con l'aiuto della locale SAP per rientrare da Montecarlo nei propri ranghi.
 
Un funzionario - temporaneo (venne quasi subito arrestato) - di P.S. della Questura fascista di Imperia fece mettere a verbale che aveva contributo a salvare il maggiore Enrico Rossi (reintegrato finito il conflitto nel Servizio Permanente Effettivo del Regio Esercito), che era stato consegnato a giugno 1944 dalla G.N.R. alle SS tedesche insieme al tenente Angelo Bellabarba ed al tenente Alfonso Testaverde, tutti rei di attività antifascista, in cui spiccava la loro pregressa collaborazione con Renato Brunati e Lina Meiffret (AS GE).   
 
Italo Calvino dichiarava il 17 luglio 1945 in Commissariato di Polizia a Sanremo: "Ho conosciuto sempre il N. come di sentimenti antifascisti. Essendo io stato catturato nel rastrellamento del 15 novembre 1944 mi trovavo alcuni giorni dopo nella Caserma Crespi d'Imperia ed arruolato forzatamente in quella Compagnia Deposito. Qui incontrai il N. che era stato costretto a presentarsi in seguito a minacce di rappresaglie verso la sua famiglia. Egli appariva assai abbattuto, moralmente, per aver dovuto compiere quel passo. Io lo avvertii che la compagnia deposito non era che una stazione di smistamento verso i campi di addestramento dai quali non si poteva più scappare perciò lo consigliai, vedendo che egli aveva intenzione di scappare quanto prima di entrare a fare parte della compagnia provinciale cercando di esimersi dal fare rastrellamenti. Alcuni giorni dopo io scappai e non sò specificare l'attività del N. in quel d'Imperia. Posso dichiarare però che egli pur essendo a conoscenza del mio nascondiglio in campagna, non solo non mi denunciò ma mi avvertì che ero attivamente ricercato segnalandomi i rastrellamenti che si sarebbero compiuti nella zona" (AS GE): lo stile di scrittura non é certo quello del grande autore de "Il sentiero dei nidi di ragno"!
 
Un rapporto della flotta statunitense di stanza nel Mediterraneo annunciava l'arrivo il 10 settembre 1944 nelle vicinanze di Saint-Raphaël di tre giovanotti, colà pervenuti in barca a remi da Ventimiglia e latori di alcune informazioni di spessore militare (" Più tardi nostre navi spararono, con il supporto di aerei da ricognizione, su alcuni obiettivi indicati da questi patrioti italiani"), una attestazione che conferma un racconto tramandato oralmente in zona ma non molto noto, anche se tramandato anni fa da Arturo Viale nel suo "Vite parallele".
 
Nel diario brogliaccio del distaccamento di Sanremo delle Brigate Nere si può leggere che il comandante Mangano - di cui oggi qualcuno insinua che fosse anche in contatto con gli americani - ebbe almeno un abboccamento - destando stupore nel verbalizzante - con un partigiano autonomo. Mangano, appena finita la guerra, morì suicida a Genova.
 
"Per assicurare la dovuta segretezza alle nostre comunicazioni è stato stabilito che ogni nostro Agente firmi ogni suo rapporto, relazione, informazione, ecc con una sigla. Vogliate prendere nota che la SIGLA a Voi assegnata e con la quale dovete firmare é: VEN 38" scriveva il comandante della Legione G.N.R., Bussi, ad un suo agente confidente - goielliere di Ventimiglia - alle dipendenze dell'U.P.I. (Ufficio Politico, in pratica uno dei tanti servizi segreti della Repubblica di Salò) (AS GE).  
 
Il 16 settembre 1944 alcuni giovani francesi tentarono un vera e propria azione di commando sulla frontiera di Ponte San Luigi, tra Mentone e Ventimiglia. Il colpo fallì: morirono Jean Bolietto, di origini astigiane, saltato su una mina, e Joseph Arnaldi, detto Jojo, raggiunto da proiettili, cui si sottrassero gli altri tre del gruppo. Su questi partigiani e su questo fatto ha scritto diverse volte il professor Enzo Barnabà.         
Stando alle sue dichiarazioni del maggio 1945 (AS GE) un ex poliziotto ausiliario della polizia saloina - di nuovo in carcere con l'accusa di avere militato in precedenza nelle fila fasciste - doveva incontrare alla fine di novembre del 1944 a Camporosso alcuni partigiani francesi, ma ne venne impedito in quanto catturato da ex colleghi repubblichini di Bordighera.
Si hanno notizie (pregressa ricerca del compianto Giuseppe "Mac" Fiorucci, autore di "Gruppo Sbarchi Vallecrosia" - con ogni evidenza in ciò aiutato dallo stimato storico nizzardo Jean-Louis Panicacci -) di incursioni - confermate da precise mappe dei luoghi, ancora esistenti - in zone del nostro ponente compiute da Joseph Manzone, detto "Joseph le fou" (un nome, un programma!), maquisard del dipartimento delle Alpi Marittime, che aveva già aiutato intorno all'8 settembre 1943 soldati italiani della IV Armata a fuggire o a raggiungere la locale Resistenza, protagonista di svariate altre avventure, lunghe da raccontare.
Da ottobre 1944 in avanti diversi furono da parte di partigiani ed agenti transalpini i tentativi compiuti di entrare in Italia attraverso la Val Roia, ma fallirono tutti o quasi. Particolarmente efficiente fu in questo contrasto a febbraio 1945 il servizio di controspionaggio tedesco.
 
Adriano Maini

domenica 19 novembre 2023

La nascita dei GAP


Il 20 settembre 1943 a Milano in casa dei coniugi Morini nacque il Comando generale delle Brigate Garibaldi, alla presenza di Massola, Roasio, Novella, Negarville, Scotti, appena rientrato dalla Francia, e Secchia, giunto da Roma. Nei giorni successivi sarebbe arrivato anche Longo, mandando Negarville a Roma e assumendo la responsabilità militare delle Brigate del Pci, mentre Secchia era incaricato della guida politica. Nonostante la mancanza di un'effettiva struttura di partito in Italia, si scelse di rompere l'attesismo e lanciare nell'immediato l'attacco all'occupante e al suo collaboratore. Pur con supporti logistici da socialisti e azionisti, in Italia come in Francia, i comunisti risultano gli unici fautori del terrorismo urbano, mentre gli altri partiti antifascisti "non sono convinti della sua produttività, in termini di consenso da parte dei cittadini, e della praticabilità, in termini morali, del terrorismo urbano" <16. Per il PCI invece, l'esperienza di vita clandestina e di lotta in Francia fu di centrale importanza nella decisione di ricorrere a tale pratica, di cui conosceva già le modalità e i fini, ma anche i rischi e le difficoltà. La scelta di ricorrere alla guerriglia in città fu adottata consapevolmente, in accordo con il comportamento dei comunisti a livello europeo e con la convinzione di costituire l'avanguardia del movimento operaio nella liberazione. Una filiazione delle azioni dei GAP da quelle dei FTP, un filo diretto com'è dipinto da Amendola nel suo panegirico di Ilio Barontini, può forse essere valido sul piano strettamente personale, apparirebbe invece sul piano storiografico un salto deduttivo, in relazione alle scarse informazioni ufficiali sull'operato degli italiani a Marsiglia.
Per Amendola "l'azione all'albergo Terminus divenne l'azione compiuta dai Gap romani contro l'albergo Flora, con la stessa tecnica e l'ordigno gettato davanti alla coda della casa di tolleranza di Marsiglia, divenne l'ordigno gettato da Bentivegna davanti al cinema Barberini a Roma" <17.
Questi eventi potevano forse essere legati nella memoria del protagonista, che si servì del precedente di alcune azioni realizzate in Francia da comunisti italiani per la guerriglia in patria, ma, in assenza di testimonianze e riscontri documentari, tali parallelismi non possono valere sul piano storiografico. Si può tuttavia riconoscere che le strutture di un organismo già noto servirono da modello alla preparazione delle squadre deputate al terrorismo nelle città italiane. Santo Peli riconosce l'imprescindibilità dell'esperienza francese all'inizio della sua storia dei GAP, asserendo che "senza questi dirigenti, senza l'esperienza della concreta organizzazione della lotta armata nelle città di Lione, a Marsiglia, progettare la formazione dei Gap sarebbe stato impensabile" <18.
I comunisti passati per la Francia costituirono lo scheletro dei Gap ma dovettero scontrarsi in Italia con i nodi già presentatisi ai comunisti francesi, il timore delle rappresaglie, l'impreparazione della classe operaia italiana a questo tipo di lotta, la scarsità cronica dei reclutati. Com'era successo oltralpe infatti, la previsione di versare alla lotta armata in città il 10% dei propri effettivi fu impossibile da realizzare per tutta la durata dell'occupazione. La direzione comunista decise comunque che bisognava agire e i più versati nella lotta armata furono impiegati nell'attuazione della direttiva, colpire e sabotare il nemico in città sin dalle prime settimane. Anche i problemi logistici sorti in Francia, la necessità di documenti falsi, armi, vettovagliamenti e appartamenti, si ripresentarono in Italia, aggravati però dalla mancanza di una struttura clandestina preesistente alla lotta, come quella del PCF. I finanziamenti per i Gap vennero dai contributi richiesti ai tesserati al partito, ma anche dalle cosiddette azioni di recupero, ovvero rapine in banca o assalti alle caserme fasciste, esponendo i patrioti alla mescolanza con criminali comuni e con individui di dubbia moralità.
Ad ogni modo, il 25 ottobre Longo, telegrafando a Mosca sulle novità dell'estate e l'armistizio, poteva riferire sinteticamente "Sta nascendo la guerriglia" <19. Infatti le risorse umane più attive del partito erano mobilitate: sotto la guida di Longo e Secchia, Scotti era ispettore generale incaricato dell'organizzazione della lotta in Piemonte, Lombardia e Liguria, mentre a Roasio spettavano il Veneto, l'Emilia e la Toscana. Ritroveremo molti dei militanti addestrati in Spagna e Francia incaricati della costituzione delle singole brigate, mentre Ilio Barontini, prima di assumere la responsabilità militare in Emilia, viaggiò nelle principali città italiane per dare consigli ai comandanti di formazione e insegnare come fabbricare gli ordigni. Come in Francia quindi, non si attese di avere i mezzi e gli uomini necessari alla lotta, ma furono ampiamente dispiegate le risorse disponibili, nella convinzione che bisognasse agire subito, poiché spettava al partito il compito di innescare la miccia per l'azione delle masse.
Il 24 ottobre Ateo Garemi e l'anarchico Dario Cagno colpirono a morte Domenico Giardina, seniore della Milizia a Torino, e, catturati in seguito all'azione, lasciarono spazio al I Gap del Piemonte, guidato da Giovanni Pesce. Le prime azioni di Garemi e Cagno, che, pur avendo avuto contatti con il partito, non ne dipendevano, rientravano nell'ambito di azioni di disturbo da parte di un gruppo anarco-comunista, i cui obiettivi risultavano abbastanza casuali, come per altre cellule autonome, ad esempio Stella Rossa. Appunto per portare sotto la propria autorità la lotta urbana, il PCd'I convocò a Torino Remo Scappini in qualità di responsabile federale, Arturo Colombi, responsabile regionale, e Romano Bessone, commissario politico dei Gap per la città <20. Tutti e tre militanti di vecchia data, i primi due passati per Mosca, per l'emigrazione in Francia e la detenzione a Civitavecchia, Colombi anche per il confino a Ventotene. Bessone invece era nato nel vercellese nel 1903, operaio comunista dalla gioventù, era stato deferito al Tribunale Speciale nel 1927 per aver partecipato ad una riunione comunista nei pressi di Torino. Resosi latitante, fu arrestato il 25 ottobre 1930 e condannato a 16 anni di reclusione e 3 di libertà vigilata, ridotti poi a 7 per amnistia, fu scarcerato nell'ottobre 1935. Al momento dell'arresto dichiarò di essere tornato da Mosca e fu trovato in possesso di volantini comunisti. Durante la reclusione, a partire dal '32, gli fu impedito di tenere corrispondenza con Elodia Malservigi, dattilografa residente in Russia che dichiarò di aver sposato con rito sovietico a Nowieltz nel 1928. La sua scheda personale riporta che in carcere "tenne cattiva condotta politica, appalesandosi pericolosissimo comunista. Pertanto è stato incluso nel 2° elenco di sovversivi pericolosi da arrestare in determinate contingenze" <21. Infatti, dopo l'ingresso in guerra, il 20 luglio 1940, era stato inviato al confino a Ventotene, dove aveva ripreso contatto con i dirigenti confinati e da cui sarebbe stato liberato nell'agosto '43, poche settimane pima di ricevere la responsabilità della formazione dei Gap torinesi. La direzione fu invece affidata al venticinquenne Giovanni Pesce, che abbiamo incontrato tra i giovani accorsi in Spagna sette anni prima. Al rientro in Francia era tornato dalla famiglia nella regione della Gran Combe ma, vista la difficoltà di trovare lavoro e il timore di essere internato per la propria condizione di straniero comunista, entrò clandestinamente in Italia e fu arrestato a Torino il 23 marzo 1940. Trasferito a Ventotene sei mesi dopo, vi trovò compagni vecchi e nuovi: "Terracini, Scoccimarro, Secchia, Roveda, Frasin, Camilla Ravera, Spinelli, Ernesto Rossi, Li Causi, Pertini, Bauer, Curiel, Ghini" <22. In assenza di militanti provati da versare alla nascente formazione, Bessone e Pesce si volsero agli appartenenti a queste cellule di fabbrica spontanee, comuniste ma non legate alla linea di partito, reclutando giovani provenienti soprattutto dall'ambiente operaio.
In Lombardia invece, il comando regionale era assegnato alla metà di ottobre a Vittorio Bardini, responsabile politico, a Cesare Roda, responsabile tecnico, e ad Egisto Rubini, addetto alle operazioni. Il profilo di questi uomini è quello spesso incontrato nel nostro percorso: tutti sopra i 35 anni, divenuti nell'esilio rivoluzionari professionali, passati per la Spagna, e Rubini anche per i FTP del Sud della Francia. In questi parametri generali rientravano tutti i comandi regionali e i principali istruttori dei distaccamenti, che si esposero in un primo momento per dare l'esempio ai nuovi, sotto i trent'anni, che sarebbero stati i fautori del terrorismo urbano. Il primo obiettivo di grande rilievo fu Aldo Resega, responsabile della federazione del fascio a Milano, colpito dal primo nucleo operativo dei GAP milanesi, che sarebbe diventato il distaccamento Gramsci (Validio Mantovani Barbisìn, Carlo Camesasca Barbisùn, Antonio La Fratta Totò e Renato Sgorbaro Lupo). Come rileva Borgomaneri, autore del lavoro più completo sul terrorismo urbano a Milano, "il primo gappismo milanese nasce dalla fabbrica e affonda le proprie radici in quell'oscuro lavoro di agitazione, di propaganda e di proselitismo che l'organizzazione comunista è riuscita a tessere nel ventennio,[inoltre…] la prima forza combattente dei Gap è costituita da operai non più giovanissimi" <23. Essi erano infatti tutti operai dell'area di Sesto San Giovanni, il più giovane, Mantovani, aveva 29 anni, il più anziano, La Fratta, 35. I ragazzi, inesperti poco più che ventenni, sarebbero subentrati tra il gennaio e la primavera. Il 18 dicembre 1943, in concomitanza con uno sciopero che bloccava da giorni i principali stabilimenti milanesi, il federale venne atteso all'uscita della propria abitazione. La Fratta e Mantovani erano di guardia, uno accanto al portone e l'altro all'angolo della via, Camesasca e Sgorbaro nei pressi di un edicola leggevano un giornale, dietro il quale erano nascoste le armi. Resega venne colpito nel momento in cui il proprio cammino incrociava quello dei terroristi, che si affrettavano poi a raggiungere le biciclette e fuggire nel trambusto creato dagli spari. Le prime azioni, spesso improvvisate, rappresentavano per questi militanti, provati ma non temprati nella lotta, una prova del fuoco, lo scoglio da superare per altre azioni. Borgomaneri individua alla fine del '43 due distaccamenti, il Gramsci di Mantovani e il Cinque giornate di Oreste Ghirotti, composti ciascuno da tre squadre. Con le azioni iniziarono però anche le prime cadute. Il 19 dicembre Arturo Capettini, addetto alla logistica e ai rifornimenti di armi, fu arrestato. In seguito al rinvenimento di materiale bellico ed esplosivo nel suo magazzino di riparazione per biciclette, esso divenne una trappola per alcuni ragazzi del Cinque giornate, come Stefano Brau e Augusto Mori. L'individuazione di Sgorbaro portò inoltre all'isolamento del gruppo di Sesto, lasciando spazio alle azioni dei distaccamenti Matteotti e Rosselli, autori in gennaio di attacchi nei ritrovi tedeschi e mordi e fuggi in bicicletta. All'inizio di febbraio, per l'omicidio del nuovo questore di Milano, Camillo Santamaria Nicolini, fu richiamato il distaccamento Gramsci, del quale Camasasca e Mantovani erano stati promossi responsabile militare e politico. In questa fase più avanzata della guerriglia in città però, le autorità non si muovevano a piedi senza protezione: il piano prevedeva perciò di colpire Nicolini in auto da un'altra auto in corsa, una lancia Aprilia appositamente rubata a due tedeschi. L'azione, affidata ai giovani di Niguarda (Elio Sammarchi, Dino Giani e Sergio Bassi) ricorda ancora una volta come la riuscita di un colpo fosse questione di attimi, in cui non mancava l'intervento del caso. Un tram si interpose tra le due vetture e una frenata dell'autista di Nicolini impedì che venisse colpito. L'ultima azione di questa prima fase del gappismo milanese fu un attacco alla casa del fascio di Sesto San Giovanni il 10 febbraio 1944, compiuto con l'aiuto di un operaio della Breda infiltrato, Lacerra. Egli però, invece di lasciare la città (come previsto) si recò sul proprio posto di lavoro, dove fu arrestato due giorni dopo, portando ad una catena di arresti e delazioni che sbaragliò i gruppi di città, giungendo sino al vertice con la cattura di Bardini, Roda e Rubini. Quest'ultimo e Ghirotti si suicidarono in carcere dopo giorni di tortura. Il terrorismo urbano a Milano si sarebbe riacceso in estate, grazie alla riorganizzazione di Giovanni Pesce, che nell'inverno '43 era però ancora a Torino.
[NOTE]
16 Santo Peli, Storie di Gap, op.cit., pag. 31.
17 Amendola, Comunismo, Antifascismo, Resistenza, op.cit., pag. 364.
18 Santo Peli, Storie di Gap, op.cit., pag. 33.
19 Longo, op.cit., pag. 100-101.
20 Nicola Adduci, Il mito e la storia: Dante Di Nanni, in Studi Storici, fascicolo 4, settembre-ottobre 2012, pag. 260-262.
21 Acs, Cpc, fascicolo personale, busta 591
22 Giovanni Pesce, Senza Tregua. La guerra dei GAP, Feltrinelli, Milano 1967, pag. 161.
23 Luigi Borgomaneri, Due inverni, un'estate e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia. 1943-1945, Franco Angeli, Milano, 1995, pag. 24.
Elisa Pareo, "Oggi in Francia, domani in Italia!" Il terrorismo urbano e il PCd'I dall'esilio alla Resistenza, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, 2019

domenica 5 novembre 2023

Praticamente, la Linea Gotica correva lungo il confine tra le province di Lucca e di Massa Carrara


Il compito assegnato agli uomini comandati da Vinci Nicodemi “Uberti”, era quello di controllare la strada Castelnuovo Garfagnana-Arni con particolare riguardo alle zone di Isola Santa e del Col di Favilla, occupate da truppe nemiche. <331 Ulteriori richieste di Pietro [Pietro Del Giudice, comandante del Gruppo Patrioti Apuani] in cambio dell'adesione alla divisione, si rintracciano in un altro appunto manoscritto datato 23 ottobre 1944 e nella successiva risposta del comando divisionale. L'appunto su carta intestata del comando GPA (Gruppo Patrioti Apuani) reca come luogo lo stesso comando di divisione e riporta: “Richieste da fare al maggiore: 1 - che nel nostro schieramento ci sia soluzione di continuità. 2 - che i nostri patrioti ubbidiscano esclusivamente a comandanti del gruppo sotto l'alta direttiva del maggiore comandante la divisione. 3 - due mitragliatori Breda 30 e 10 sten con munizionamento per rinforzare il nostro schieramento senza contare naturalmente quelli che saranno dati in dotazione alle nostre forze che rimangono in Garfagnana. 4 - Promessa di assistenza alla popolazione della nostra zona sacrificando magari in parte i paesi molto più ricchi della Garfagnana. In proposito dovrebbe venir stipulata una convenzione. 5 - accordo per un piano militare.” <332
Condizione fondamentale per l'aiuto dato dal GPA alla Divisione Lunense era l'accordo per ricevere rifornimenti e viveri per la popolazione apuana costretta a sopravvivere in piena zona di guerra sulla linea del fronte. Un primo passo in questa direzione si era avuto durante l'incontro del 17 ottobre a Forno, quando venne rilasciata un'autorizzazione firmata da Oldham, agli uomini della 3^ compagnia del GPA, comandata da Arnaldo Pegollo, per la requisizione di viveri in alcune zone della Garfagnana <333. Le ulteriori richieste formulate da Pietro trovarono immediato e pieno riscontro nella convenzione sottoscritta da Oldham, da “Barocci” [Roberto Battaglia], dal comandante della 1^ brigata della Lunense, Coli e dallo stesso comandante del GPA. Questo il testo dell'importante documento: “Il Comando della Lunense e il Comando della 1^ Brigata sentite le richieste del Gruppo Patrioti Apuani chiarisce e risponde in perfetto accordo col Comandante del detto Gruppo quanto segue:
1 - Schieramento difensivo continuo. Il Comando di Divisione prende atto con compiacimento della prontezza con cui il Comando Patrioti Apuani ha inviato un primo distaccamento delle sue forze nel settore della 1^ Brigata e rifornisca immediatamente di 4 fucili mitragliatori Breda e relative munizioni il detto distaccamento. […] Gli affida infine un settore da difendersi ad oltranza, tale da poter stabilire collegamento col grosso dei Patrioti Apuani mediante un'ora di strada.
2 - Comando militare e disciplina del Distaccamento dei Patrioti Apuani. Valgono le direttive generali qui allegate.
3 - Richiesta di armi per il gruppo dei Patrioti Apuani. Il Comando di Divisione, sentito il parere del Comando della 1^ Brigata è lieto di aderire alla detta richiesta. […].
4 - Richiesta di viveri per la popolazione civile di Massa e dintorni. Il Comando di Divisione e così pure il Comando della 1^ Brigata s'impegna di aiutare con ogni suo sforzo e mezzo le popolazioni civili della zona di Massa favorendo l'esportazione di generi alimentari dalla Garfagnana. Come prima prova concreta di questo suo interessamento promette l'invio di 20 quintali di patate a detta popolazione in cambio di un adeguato quantitativo di sale.
5 - Piano militare comune. Il Comandante Pietro è incaricato di riferire a voce su detto piano la cui esecuzione è subordinata a un efficiente schieramento da parte dei partigiani e alle opportune direttive da parte del Comando alleato e del Governo Italiano.” <334
La convenzione si concludeva con un'ulteriore richiesta di invio di uomini rivolta anche alla Brigata Garibaldi “Muccini” e con un chiarimento sul punto più importante dell'accordo: l'invio di viveri verso Massa: “Riguardo al grave e urgente problema dell'incubo della fame sulle popolazioni di Massa e dintorni è dovere di ogni buon Italiano contribuire alla sua soluzione nella misura del possibile. Il Comando di Divisione rivolge a questo proposito un appello ai CLN della Garfagnana. Poiché non si può assumere direttamente la responsabilità di organizzare i rifornimenti dalla Garfagnana a Massa che è compito delicato di competenza civile richiede al CLN di Apuania l'invio di una persona a ciò delegata, cui la Lunense darà l'appoggio incondizionato di tutte le sue formazioni partigiane.” <335
[NOTE]
331 Notizie dettagliate sulla zona occupata dai Patrioti Apuani in Garfagnana si trovano in V. Nicodemi, G. Lenzetti Guerra sulle Apuane, ANPI, Massa, 2006. Il reparto guidato da Vinci si stabilì sul Monte Grotti e giornalmente svolgeva servizio di pattuglia fra il Monte Grotti e il Monte Sumbra.
332 AAM busta 19, fascicolo 19.
333 AAM busta 24, fascicolo 1. Le località designate per la requisizione viveri erano: Giuncugnano ed altre frazioni; Capoli e tutto il comune di Piazza al Serchio. Gli uomini di “Naldo” ricevevano inoltre il compito di agire anche sul paese di Gorfigliano ponendovi un proprio presidio: “Secondo gli accordi prestabiliti i Patrioti Apuani sono autorizzati ad agire su Gorfigliano per la totale epurazione di questo centro fascista repubblicano punendo esemplarmente secondo giustizia tutti i responsabili mediante fucilazione e requisizione dei beni.”
334 AAM busta 24, fascicolo 1. “Convenzione fra il Comando della Divisione Lunense, il Gruppo Patrioti Apuani e la 1^ brigata Garfagnina”.
335 Ivi pag. 2.
Marco Rossi, Il Gruppo Patrioti Apuani attraverso le carte dell'archivio ANPI di Massa. Giugno-Dicembre 1944, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, 2016


Il 5 ottobre, a Viareggio, il generale Edward M. Almond assunse il comando della Task Force 92, formata dai primi contingenti della 92 Divisione di Fanteria “Buffalo” <7, da alcuni mesi in Italia - vale a dire il 370 reggimento di fanteria, il 598 Gruppo d'Artiglieria Campale, il 124 Gruppo d'Artiglieria campale, reparti del genio, sanità e sussistenza - e dall'894 battaglione anticarro, dal 434 e 435 battaglione di fanteria, dal 751 battaglione carri armati e dai reparti britannici, già facenti parte della Task Force 45.
In quei giorni la Quinta Armata si stava preparando ad assestare il colpo definitivo alla Linea Gotica sull'asse Firenze-Bologna e, nell'ambito dell'operazione, alle forze schierate in Versilia e in Garfagnana fu assegnato un compito diversivo, quello di tenere impegnate le truppe nemiche e conquistare alcune posizioni strategiche nel rispettivo settore. In particolare alla Task Force 92 fu ordinato di prendere il m. Canala, sovrastante Seravezza e il Monte di Ripa, che aveva una notevole importanza strategica, essendo il suo controllo indispensabile per poter puntare su Montignoso, Massa e Carrara.
Mentre i Brasiliani, con l'apporto del “Battaglione Autonomo Patrioti Italiani” agli ordini di Manrico Ducceschi (“Pippo”), occuparono Fornaci di Barga, Coreglia e Barga, in Versilia la Task Force 92 non riuscì a prendere il m. Canala, nonostante gli accaniti e sanguinosi combattimenti sostenuti dal 6 all'11 ottobre. Dalla metà di ottobre ai primi di novembre, pattuglie americane arrivarono nelle frazioni montane di Giustagnana, Minazzana, Basati ed Azzano (Comune di Seravezza) e di Terrinca e Levigliani (Comune di Stazzema), poi, il fronte si stabilizzò fino all'aprile 1945, lungo una linea, che seguiva il tratto finale del fiume Versilia, la piana di Porta, le colline di Strettoia e del Monte di Ripa, i monti Folgorito, Altissimo, Corchia ed il gruppo delle Panie. <8
Ad eccezione di Strettoia e di Arni, tutto il territorio versiliese era stato liberato e si erano insediate le Amministrazioni Comunali, nominate dai CLN con il consenso del Governo Militare Alleato, ma la situazione continuò ad essere molto problematica in quanto la Versilia si trovò a essere un territorio “liberato, ma ancora in prima linea”, sottoposto al fuoco dell'artiglieria nemica ed alla minaccia di possibili puntate offensive da parte dei Tedeschi. A correre i rischi maggiori erano il centro di Seravezza e alcuni paesi dello Stazzemese, dislocati a poche centinaia di metri dalle sovrastanti postazioni tedesche, poi Forte dei Marmi e Pietrasanta, situati nelle immediate vicinanze, mentre relativamente più tranquilla era la situazione nel territorio di Camaiore, Viareggio e Massarosa.
Nel settore apuoversiliese della Linea Gotica i Tedeschi non avevano costruito particolari strutture difensive artificiali, ma, piuttosto, adattato o rinforzato quelle naturali, offerte dal terreno collinare e montano, impiegando i lavoratori della TODT e centinaia di uomini, catturati nel corso dei frequenti rastrellamenti. Sulla spiaggia del Cinquale, lungo le sponde del fiume Versilia e la piana di Porta, fino alla via Aurelia, erano stati posti numerosi campi minati, distrutti i ponti, disseminati numerosi ostacoli lungo strade e sentieri, approntati nidi di mitragliatrici. Le colline intorno al Castello Aghinolfi, quelle di Strettoia e del Monte di Ripa, protette da una fitta rete di campi minati, erano presidiate da numerose postazioni di mitragliatrici e mortai, da dove i Tedeschi potevano dominare la zona sottostante, essendo stati rasi al suolo oliveti, vigneti e buona parte della vegetazione spontanea. Sui monti Canala, Folgorito e Carchio, da cui parte la cresta scoscesa che raggiunge il monte Altissimo, dominante la vallata del torrente Serra, erano state scavati ripari e trincee per mitragliatrici e mortai, mentre erano stati allestiti una stazione radio e un posto di osservazione sulla vetta del Folgorito, da dove era possibile tenere sotto controllo la costa da La Spezia a Livorno e gran parte della Versilia. Anche sui monti Altissimo, Corchia, Pania della Croce e Pania Secca, che sovrastano da un lato il territorio di Stazzema e dall'altro la Garfagnana, nel tratto tra Castelnuovo e Gallicano, erano stati allestiti posti d'osservazione, trincee, postazioni per mitragliatrici, obici e mortai.
A difesa del settore occidentale della Gotica i Tedeschi schieravano la 148 Divisione di Fanteria, a cui, nella fase finale, furono aggregati il battaglione mitraglieri Kesselring ed alcuni battaglioni d'alta montagna, mentre il tratto tra l'Altissimo e la Pania erano affidati al battaglione “Intra” della Divisione Alpina “Monterosa”.
Praticamente, la Linea Gotica correva lungo il confine tra le province di Lucca e di Massa Carrara e, di conseguenza, il territorio di Montignoso e di Massa costituiva le immediate retrovie, dove erano dislocati servizi logistici, mezzi, depositi di materiale e postazioni di artiglieria. Un ruolo fondamentale, per la difesa di questo settore della Linea Gotica, era svolto dalle batterie dei cannoni di Punta Bianca, situate nei pressi di Bocca di Magra, dove Tedeschi avevano rafforzato una serie di postazioni precedentemente allestite dalla Marina Militare Italiana. Il sistema difensivo era costituito da due cannoni navali da 152/52 in località Ameglia, 4 cannoni navali da 152/52, posti tra le rocce, e 4 dello stesso tipo in un bunker, oltre a torrette di osservazione e attrezzature varie. Inoltre, era stato aggiunto un cannone di grosso calibro montato su un affusto ferroviario, collocato in una galleria.
[NOTE]
7 - La 92 Divisione di Fanteria “Buffalo” fu costituita il 15 ottobre 1942 a Fort Mc Clellan in Alabama, con una forza iniziale di 128 ufficiali e 1200 soldati, aumentata progressivamente fino al raggiungimento degli effettivi di una divisione. I reparti effettuarono l'addestramento in varie località , poi, nel 1943, si trasferirono a Fort Huachuca. Il 15 luglio salpò per l'Italia il primo contingente, cioè il 370 Regimental Combat Team, formato dal 370 reggimento di fanteria, dal 598 reggimento di artiglieria campale, da reparti del Genio, Sanità, Servizi e Polizia Militare. 8 - Sul settore apuoversiliese della Linea Gotica cfr: Eserciti Popolazione Resistenza sulle Alpi Apuane - Prima parte: aspetti politici e militari, a cura di Gino Briglia, Pietro Del Giudice, Massimo Michelacci, Massa, Tipografia Ceccotti, 1995 - parte seconda: aspetti politici e sociali, a cura di Lilio Giannecchini e Giuseppe Pardini, Lucca, Tipografia San Marco, 1997 - Fabrizio Federigi, Versilia Linea Gotica, Versilia Oggi Edizioni, Roma, 1979 - Davide Del Giudice, La Linea Gotica tra la Garfagnana e Massa Carrara - settembre 1944-aprile 1945, vol. 2, Tipografia Glue&c. Massa, 2000
Giovanni Cipollini, La Linea Gotica in territorio apuoversiliese, saggio pubblicato in “La Linea Gotica - Settore Occidentale 1943-45”, atti del Convegno di studi svoltosi a Borgo a Mozzano il 9 maggio 2004, a cura dell'Istituto Storico Lucchese - sezione di Borgo a Mozzano

sabato 30 settembre 2023

Trentin viene visto da tutti come un capo naturale e un punto di riferimento stimolante soprattutto per i giovani

6 settembre 1943: Silvio Trentin accolto trionfalmente a San Donà di Piave. E' in seconda fila e al centro. (Centro studi e ricerca Silvio Trentin, Jesolo - N. della busta/raccoglitore:1 - N. della serie: 46 - Segnature: 10.1.161; 10.1.162; R.G.E. 1247; R.G.E. 1248. Fonte: Graziano Bertola, Op. cit. infra

Dopo la caduta di Mussolini Silvio Trentin decide di rientrare in Italia ed arriva nel Veneto nei primissimi giorni del settembre 1943 con la moglie Beppa e i due figli maschi, mentre la figlia Franca resta in Francia. Il 4 settembre arrivano a Mestre per abbracciare il grande amico Camillo Matter, il giorno dopo sono a Treviso dove Trentin è intervistato dal Gazzettino <94, il giorno 6 a San Donà di Piave dove Silvio è accolto trionfalmente, ma nella seconda visita al paese natale, dopo l'8 settembre, nessuno gli apre più le porte. Da qui in poi scatta per lui la clandestinità, userà nomi diversi, si sposterà spesso e cambierà più volte domicilio: ne consegue, purtroppo, che risulta non facile ricostruire questo periodo perché le fonti biografiche sono, come in quello francese, pochissime.
Anche se la documentazione storica è molto scarsa, quel che è certo è che Trentin viene visto da tutti come un capo naturale e un punto di riferimento stimolante soprattutto per i giovani <95. In questi primissimi giorni in Italia, aderisce al Partito d'Azione e verso il 10 di settembre si ritrova, parole sue, “già praticamente investito della direzione del partito di tutto il Veneto”. <96
A Padova con Concetto Marchesi ed Egidio Meneghetti, rispettivamente rettore e professore dell'università patavina, partecipa alle sedute del Comitato di liberazione nazionale per la regione veneta (CLNRV), ha contatti con alti ufficiali militari dell'esercito per convincerli a distribuire le armi alla popolazione <97, poi è, per un mese circa, ospite a Mira della famiglia di Guglielmo Fortuni <98. Seguono parecchi incontri nel trevigiano per unificare il comando militare dei resistenti e, fra i problemi emersi, c'è anche quello di stabilire se esso, così unificato, può o meno agire indipendentemente dal comando politico, ed alla fine vince la posizione di Meneghetti e Trentin che, per evitare pericolose e anomale guerriglie "private" con altre formazioni combattenti, vogliono un comando militare solo parzialmente “autonomo” <99. Il comandante scelto è un ufficiale della marina militare italiana, di famiglia polacca e nato in Italia, Jerszy Saskulcisky ("col. Sassi") [in effetti si trattava di Jerzi Sas Kulczycki]. Nelle prime settimane in Italia, Trentin rifiutò la richiesta di Lussu di recarsi a Roma a far parte della direzione centrale del CLN <100, sentiva che doveva combattere nel Veneto dove il suo ruolo era insostituibile, tutti avevano infatti bisogno del suo prezioso consiglio e, secondo lo storico della Resistenza nel Veneto, Teodolfo Tessari, l'impulso che lui dava al movimento partigiano era decisivo.
Il comando politico del CLNRV - che aveva la sua sede centrale fino al dicembre 1943 a Padova, e poi a Venezia - era composto da Alessandro Candido per il Partito socialista, da Trentin e Meneghetti <101 per il Partito d'azione, Saggin per il Partito democratico cristiano e Marchesi per il PCI <102.
L'organo ufficiale del Pd'A di Padova, ad uscita piuttosto irregolare, porta un nome storico, "Giustizia e Libertà", ed il 1° novembre 1943 esce con lo scritto di Trentin "Appello ai Veneti guardia avanzata della nazione italiana", un saggio che punta il dito contro il fascismo, la borghesia e la monarchia che sostengono Badoglio ed è, nello stesso tempo, un accorato invito all'azione rivoluzionaria: "Ora, non vi è oggi altro luogo dove possono essere chiamati a raccolta tutti coloro che rivendicano la loro propria appartenenza ad esso (il popolo italiano) che là dove ci si batte o ci si prepara a batterci, con tutte le armi, senza più esclusione di colpi, contro l'invasore straniero ed i bastardi indigeni che, in veste di indicatori, di carcerieri, di sicari, lavorano al suo servizio. La consegna è oggi di darsi alla macchia, di raggrupparsi, di ricominciare insieme nella fraternità di una libera federazione di pionieri della nuova Italia, di armarsi, di battersi e, se occorra di morire". <103
Ai primi di novembre, sotto il falso nome di prof. Ferrari si trasferisce da Mira a Padova in casa di amici, i coniugi Monici, in via del Santo (all'odierno numero civico 123), dove il 19 novembre viene arrestato con il figlio Bruno <104, interrogati per due giorni e poi detenuti alla prigione dei Paolotti. Non avendo trovato nulla a loro carico, agli inizi di dicembre vengono rilasciati, anche forse per i problemi cardiaci di Silvio, che il 6 dicembre viene ricoverato all'ospedale "Elena di Savoia" di Treviso fino all'11 febbraio 1944 quando, a causa dei bombardamenti aerei sulla città, è trasferito in una clinica a Monastier, un comune della stessa provincia <105.
Trentin ha da poco tempo finito di stendere un abbozzo di Costituzione per l'Italia del dopoguerra, modellata su quella francese da lui stesa l'anno precedente <106. Nell'ultimo scritto "Ai lavoratori delle Venezie" - un appello in cui si ribadisce che la rivoluzione socialista e federalista sarà su scala planetaria <107 - li arringa parlando loro a nome del Partito d'azione, alla vigilia della Liberazione, affinché prendano il loro posto di combattimento nella battaglia decisiva.
Dice Trentin: "A quest'effetto il Partito d'azione pone in testa alle sue rivendicazioni rivoluzionarie lo smantellamento dello stato autoritario e monocentrico e la restituzione alla vita sociale di tutte le sue fonti pluralistiche, mediante l'attribuzione alla compagine della nazione di una assise integralmente federalistica". <108
Ma, in questo scritto, forse, il passo ideologicamente più importante sta dove Trentin afferma che con il Partito comunista c'è la stessa solidarietà e la stessa comunanza di temi e vedute che esso aveva con Giustizia e Libertà in Francia, ma, nel contempo, sottolinea anche molto fermamente le distanze ideologiche, facendone addirittura l'elenco. Nel frattempo porta avanti le relazioni iniziate in Francia con De Gaulle per raggiungere un accordo di collaborazione nella Resistenza fra Francia e Italia. <109
L'11 marzo 1944 Camillo Matter, tornato il giorno prima da Roma dov'era stato a chiedere fondi per la resistenza veneta, va a trovarlo in clinica e durante la conversazione Trentin ha una grave crisi cardiaca. Silvio morì il giorno dopo, con al capezzale la moglie Beppa e il figlio Giorgio <110. Prima di morire rifiutò i conforti religiosi. Fu sepolto due giorni dopo a San Donà di Piave, di sera, con un corteo funebre composto dalla moglie Beppa, i figli Giorgio e Bruno e l'amico Camillo Matter. Non c'era nessun altro. La polizia fascista, in un'atmosfera di sospetto, sorvegliava e, come da ordini ricevuti, non fece passare il carretto con la bara per il centro di San Donà. <111
[NOTE]
94 IL GAZZETTINO, Visita all'on. Trentin tornato in Italia dopo vent'anni, Venezia, 7 settembre 1943, p.2.
95 TRENTIN, Antifascismo e rivoluzione, p. XXXI.
96 DE LUNA G., L'esperienza di Silvio Trentin nel Partito d'azione, in AA.VV., Silvio Trentin e la Francia, p. 38.
97 Ivi, p. 41.
98 VERRI, I Trentin a Mira nella Resistenza, p. 12.
99 TESSARI T., Sulle origini della resistenza militare nel Veneto. Settembre 1943-aprile 1944, Neri Pozza, Venezia, 1959, p. 17.
100 TESSARI T., Sulle origini della resistenza militare nel Veneto. Settembre 1943-aprile 1944, Neri Pozza, Venezia, 1959, p. 17.
101 VERRI, I Trentin a Mira nella Resistenza, p. 13.
102 ROSENGARTEN, Silvio Trentin dall'interventismo alla resistenza, pp. 204-206.
103 TRENTIN, Appello ai veneti, guardia avanzata della nazione italiana, a cura di Paladini G., Antifascismo e rivoluzione, pp. 532-533.
104 FELTRIN FRANCESCO, Nuovi documenti su Silvio Trentin, CLEUP, Padova, 2000, pp. 7-84. L'autore espone i particolari dell'arresto e di tutto il periodo di detenzione dal 19 novembre al 2 dicembre 1943, sulla base di documenti rinvenuti presso l'Archivio di Stato di Padova.
105 VERRI, I Trentin a Mira nella Resistenza, p. 14.
106 Centro studi Trentin, Jesolo, Abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell'Italia, Busta 1C, Fasc.3.
107 VERRI, I Trentin a Mira nella Resistenza, p. 37.
108 TRENTIN, Ai lavoratori delle Venezie, a cura di Paladini G., Antifascismo e rivoluzione, pp. 535-538.
109 VERRI, I Trentin a Mira nella Resistenza, p.40.
110 Ivi, pp. 134-136.
111 ROSENGARTEN, Silvio Trentin dall'interventismo alla resistenza, pp. 211-213.
Graziano Bertola, Silvio Trentin ed i Patti Lateranensi, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2013-2014
 
Quando Silvio Trentin <1 rientrò in Italia agli inizi di settembre del 1943 il Partito d’Azione veneto aveva quasi un anno di vita <2, essendo stato costituito nell’ottobre dell’anno precedente a Treviso nello studio dell’avvocato Leopoldo Ramanzini <3, con la presenza dei maggiori esponenti veneti (ad eccezione di Egidio Meneghetti) <4, e aveva tenuto una seconda riunione collegiale il 23 agosto, sempre del 1943, a Venezia in casa di Ranieri Da Mosto <5, con la partecipazione di rappresentanti di tutte le province venete <6. Fu costituita in quell’occasione la prima direzione regionale del partito: ne era segretario il veneziano Agostino Zanon Dal Bo <7, affiancato dall’udinese Fermo Solari <8, dal vicentino Mario Dal Pra <9, , dal padovano Giuseppe Zwirner <10, dai veneziani Luigi Martignoni <11 e Armando Gavagnin <12, dal trevigiano Bruno Visentini <13. Sul rientro di Trentin molto è stato scritto e non ritengo il caso di ritornarci <14. Quello che voglio evidenziare non è tanto il ruolo di Trentin, quanto il rapporto tra il Partito d’Azione veneto e il suo capo carismatico, rapporto durato solamente pochi mesi per la prematura morte del sandonatese. La prima riunione di azionisti veneti con la presenza di Silvio Trentin si tenne a Padova agli inizi di ottobre 1943 nell’istituto di filosofia del diritto, dove insegnava Norberto Bobbio <15. Fu affidata la segreteria regionale a Leopoldo Ramanzini <16. La parte più rilevante dell’incontro fu costituita però dall’intervento di Trentin, che espose alcune sue idee, che il resoconto di Agostino Zanon Dal Bo non esplicita (egli si limita ad annotare: «Trentin pose la proposta di dare un carattere “rivoluzionario” (era la sua espressione), al programma e all’azione del partito» <17), ma che si può supporre fossero quelle maturate nel soggiorno francese e che si possono ritrovare, tra l’altro, nei suoi interventi sul giornale «Libérer et Fédérer» <18, ma anche nei testi manoscritti da lui portati dalla Francia: "Stato Nazione Federalismo" e "Libérer et fédérer", che furono letti dagli azionisti veneti e suscitarono ampie discussioni. Ricorda Mario Dal Pra che «A Padova […] il suo manoscritto [di "Stato Nazione Federalismo"] fu oggetto di vivaci discussioni fra i compagni di fede; destò molto interesse e si pensò di stamparlo. Trentin allora lo affidò a me» <19.
Trentin, rendendosi probabilmente conto dell’impatto creato dalle sue idee, non propose, nel corso della riunione, come scrive Zanon Dal Bo, una discussione immediata su di esse, ma la nomina di un gruppo di studio, formato da Bobbio, Dal Pra e Zanon Dal Bo, per approfondirle. Purtroppo, come racconta il veneziano, esso non riuscì a lavorare, perché Mario Dal Pra fu costretto poco tempo dopo a lasciare precipitosamente Vicenza e il Veneto, per sfuggire all’arresto, rifugiandosi a Milano <20, e Zanon Dal Bo dovette allontanarsi da Venezia, riparando a Vittorio Veneto, sua città natale; non va dimenticato poi che Trentin fu arrestato il 19 novembre e Bobbio il 6 dicembre.
[NOTE]
1 Su Silvio Trentin (1885-1944) la biografia più completa è F. Rosengarten, Silvio Trentin dall’interventismo alla Resistenza, Feltrinelli, Milano 1980. La bibliografia su Trentin è troppo ampia per presumere di offrirne una sintesi. Mi limito a P. Arrighi, Silvio Trentin. Un Européen en Résistence (1919-1943), Loubatières, Porter-sur-Garonne 2007; M. Guerrato, Silvio Trentin, un democratico all’opposizione, Vangelista, Milano 1981; G. Paladini, Silvio Trentin dalla democrazia radicale al socialismo federalista (1924-1944), «Archivio veneto», CXVI, 1981, pp. 59-83; Id., “Figlio del Veneto”. Colloqui parigini su Trentin fra esilio e Resistenza, «Venetica», 3, 1985, pp. 77-92; V. Ronchi, Silvio Trentin, ricordi e pensieri 1911-1926, Canova, Treviso 1975; C. Verri, Guerra e libertà. Silvio Trentin e l’antifascismo italiano (1936-1939), XL edizioni, Roma 2011, oltre agli interventi di Norberto Bobbio: Ricordo di Silvo Trentin. Commemorazione nel decennale della liberazione, Artigrafiche Sorteni, Venezia 1955, poi come Silvio Trentin, «Il Ponte», X, 1954, pp. 702-713, poi in Italia civile. Ritratti e testimonianze, Passigli, Firenze 1986, pp. 249-266; Commemorazione di Silvio Trentin, in Atti del Convegno di studi su Silvio Trentin (Jesolo, 20 aprile 1975), Neri Pozza, Vicenza 1976, pp. 109-123. Per l’elenco dei suoi scritti rimando a S. Trentin, Scritti inediti. Testimonianze e studi, Guanda, Parma 1972, pp. 321-333.
2 Sul Partito d’azione veneto rimando a G.A. Cisotto, “Solo uomini di buona volontà”. Il Partito d’azione veneto (1942-1947), Viella, Roma 2014.
3 Leopoldo Ramanzini (1903-1987), avvocato trevigiano, nel 1945 fu nominato dal CLN prefetto di Treviso. Su di lui si vedano R. Binotto, Personaggi illustri della Marca Trevigiana. Dizionario bio-bibliografico dalle origini al 1996, Cassamarca, Treviso 1996, p. 468, e l’affettuoso ricordo di E. Opocher, Ramanzini, una vita per la libertà, «Lettera ai compagni,» XIX (7-10), 1987, p. 12.
4 Erano presenti Antonio Giuriolo da Vicenza, Luigi Martignoni e Agostino Zanon Dal Bo da Venezia, Flavio Dalle Mule da Belluno, Fermo Solari e Luigi Cosattini da Udine, Norberto Bobbio e Walter Dolcini da Padova, Leopoldo Ramanzini, Bruno Visentini, Enrico Opocher, Elio Gallina, Romolo Pellizzari da Treviso (Cisotto, “Solo uomini di buona volontà”, cit., pp. 16-18, al quale rimando anche per i riferimenti biobibliografici sui singoli esponenti). Il nazionale era rappresentato da Ugo La Malfa da Milano e da Sergio Fenoaltea da Roma (G. De Luna, Storia del Partito d’Azione 1942-1947, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 34). Si vedano pure L. Ramanzini, I partiti politici nel Trevigiano durante il 1943, in Archivio dell’Istituto veneto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (d’ora in avanti: Aivsrec), b. 13. Relazioni al Convegno di studi sulle origini della Resistenza nel Veneto. Padova, maggio 1955; poi in R. Biondo, M. Borghi (a cura di), Giustizia e Libertà e Partito d’Azione. A Venezia e dintorni, Edizioni Nuova Dimensione, FIAP, Iveser, Portogruaro 2005, pp. 174-175; B. Visentini, Ugo La Malfa. Commemorazione tenuta a Treviso il 21 maggio 1979, s.n., Milano 1980, pp. 5-6; A. Zanon Dal Bo, Il Partito d’azione a Venezia dalle origini all’inizio della resistenza armata, in Il Partito d’Azione dalle origini all’inizio della Resistenza armata, Archivio trimestrale, Roma 1985, p. 741.
5 Ranieri Da Mosto, nato a Venezia nel 1924, è stato giornalista e responsabile della redazione veneziana della RAI (1943-1945. Venezia nella Resistenza. Testimonianze, a cura di G. Turcato, A. Zanon Dal Bo, Comune di Venezia, Venezia 1976, p. 551).
6 Parteciparono alla riunione: per Padova Ugo Morin, Giuseppe Zwirner Francesco Cingano, Egidio Meneghetti; per Treviso Bruno Visentini, Enrico Opocher, Leopoldo Ramanzini; per Udine Fermo Solari, Carlo Comessatti, Luciano Comessatti, Alberto Cosattini; per Vicenza Antonio Giuriolo, Mario Dal Pra, Licisco Magagnato; per Belluno Flavio Dalle Mule, Giuseppe Gerardis; per Rovigo Lino Rizzieri, Mario Degan; per Verona Giovanni Dean, Giovanni Zorzi. Venezia era «naturalmente molto rappresentata», ma Zanon Dal Bo non indica i nomi, salvo il suo e quello di Ranieri Da Mosto. Scrive sempre Zanon Dal Bo: «La riunione si concluse dando al sottoscritto l’incarico di Segretario regionale affiancato da alcuni compagni (un incarico che non sarebbe durato molto perché l’8 settembre rese problematica la mia stessa permanenza a Venezia)» (Zanon Dal Bo, Il Partito d’azione a Venezia, cit., pp. 744-745). Si veda Cisotto, “Solo uomini di buona volontà”, cit., pp. 22-23, con bio-bibliografia dei partecipanti.
7 Agostino Zanon Dal Bo (1902-1993), nato a Vittorio Veneto, fu insegnante di lettere a Venezia dal 1934 nel liceo Foscarini. Si vedano 1943-1945. Venezia nella Resistenza, cit., pp. 559-560; Zanon Dal Bo Agostino, in Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, VI, La Pietra Milano, 1989, p. 447; M. Isnenghi, Allievi e maestri, in Memoria resistente. La lotta partigiana a Venezia e provincia nel ricordo dei protagonisti, a cura di G. Albanese, M. Borghi, Nuova dimensione, Iveser, Portogruaro 2005, pp. 109-121.
8 Fermo Solari (1900-1988), nato a Prato Carnico (Udine), imprenditore, fu esponente di primo piano del Partito d’azione e della Resistenza. Successivamente aderì al Partito socialista, per il quale fu eletto in Parlamento. Su di lui rimando a N. Del Bianco, Fermo Solari, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1991; Fermo Solari, dirigente della resistenza, uomo politico, industriale friulano, a cura di M. Tosoni, In uaite, Udine 1988; C. Rinaldi, I deputati del Friuli-Venezia Giulia a Montecitorio dal 1919 alla Costituente, Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Trieste 1983, pp. 649-654; M. Lizzero, Fermo Solari “Somma”, «Storia contemporanea in Friuli», XVIII (19), 1988, pp. 265-270; T. Sguazzero, Le ragioni della sinistra nella prospettiva politica di Fermo Solari. Dalla Liberazione alla crisi politica degli anni Settanta, Storia contemporanea in Friuli», XXV (26), 1995, pp. 27-62; M Robiony, Solari Fermo, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, 3. L’età contemporanea, a cura di C. Scalon, C. Griggio, G. Bergamini, Forum, Udine 2011, cit., pp. 2187-2190; M. Puppini, Solari, Fermo, in Dizionario della Resistenza, II. Luoghi, formazioni, protagonisti, a cura di E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Einaudi, Torino 2000, pp. 645-646. Di lui ricordo in particolare L’armonia discutibile della Resistenza. Confronto tra generazioni a Udine, estate autunno 1978, La Pietra, Milano 1979.
9 Mario Dal Pra (1914-1992), vicentino, fu filosofo e storico della filosofia. Insegnò al liceo classico di Vicenza, dove ebbe come allievi Luigi Meneghello, Mario Mirri, Enrico Melen e altri giovani poi divenuti azionisti. Fuggito a Milano alla fine del 1943 per sottrarsi all’arresto, divenne uno dei dirigenti del CLNAI. Dopo la guerra rimase a Milano, dove passò ad insegnare all’Università statale. Su di lui rimando a M. Dal Pra, F. Minazzi, Ragione e storia, Rusconi, Milano 1992; F. Minazzi, Mario Dal Pra filosofo e partigiano. Sulla genesi etico-culturale di una scelta civile antifascista, «Odeo olimpico», XXV (2002-2004), Vicenza 2008, pp. 233-349; D. Borso, Uno storico militante, in M. Dal Pra, La guerra partigiana in Italia. Settembre 1943-maggio 1944, a cura di D. Borso, Giunti, Firenze 2009, pp. 21-33.
10 Giuseppe Zwirner (1904-1979), professore di matematica all’università di Padova, fu vice sindaco nell’amministrazione patavina insediata dal CLN nel 1945.
11 Luigi Martignoni (1890-1965) come ufficiale del genio navale fece la guerra di Libia e la Prima guerra mondiale, dimettendosi nel 1920. Aderì al Pd’A nel 1942; fece parte del comitato interprovinciale di Venezia dopo il 25 luglio 1943; il 14 settembre il comando tedesco di Venezia ne ordinava l’arresto e fuggì a Roma sotto falso nome; lì «si dedicò allo studio dei problemi del dopoguerra ed alla organizzazione della resistenza locale». Il 27 dicembre 1943 fu arrestato e rinchiuso nel carcere di via Tasso, da dove riuscì a fuggire il 4 gennaio dell’anno successivo (si veda [Ing. Martignoni], Roma-Via Tasso 155. Storia di una evasione, in Aivsrec, b. 13); fu membro del Comando militare regionale veneto dall’agosto 1944 fino al 7 gennaio 1945, quando fu arrestato. Dopo la guerra fu in Consiglio comunale a Venezia nelle liste del PSI.
12 Armando Gavagnin (1905-1978) fu arrestato nel 1928 per attività antifascista. Nel dopoguerra fu direttore de «Il gazzettino», consigliere comunale dal 1946 e più volte assessore del comune di Venezia. Di lui ricordo Vent’anni di resistenza al fascismo, Ricordi e testimonianze, Einaudi, Torino 1957.
13 Bruno Visentini (1914-1995), di Treviso, avvocato e docente universitario, fu esponente politico prima azionista e poi 2005; Per Bruno Visentini, a cura di C. Toria, R. Zorzi, Venezia, Marsilio 2001; F. Cingano, Bruno Visentini, «Belfagor», 2, 1999, pp. 194-202; Il gran borghese in Parlamento. Ricordo di Bruno Visentini, Fondazione della Camera dei deputati, Roma 2004.
14 Sul rientro di Trentin Rosengarten, Silvio Trentin, cit., pp. 200-203; Zanon Dal Bo, Il Partito d’azione a Venezia, cit., pp. 745-746; ora anche C. Verri (a cura di), I Trentin a Mira nella Resistenza, ANPI, Sezione di Mirano (Venezia), Mirano 2013. Un giornalista de «Il gazzettino» di Venezia si affrettava ad incontrarlo a Treviso: Visita all’on. Trentin tornato in Italia dopo vent’anni, «Il gazzettino», 7 settembre 1943.
15 Norberto Bobbio (1909-2004) era arrivato a Padova come docente di filosofia del diritto alla fine del 1940. Sul periodo padovano del filosofo torinese rimando a Norberto Bobbio. Gli anni padovani, a cura di B. Pastore, G. Zaccaria, Padova University Press, Padova 2010 e in particolare D. Fiorot, Il mio ricordo di Norberto Bobbio negli anni 1943-46, pp. 39-52 e A. Ventura, Bobbio nella Resistenza nel Veneto, pp. 27-38; D. Fiorot, Norberto Bobbio e l’Università di Padova: 1940-48, «Foedus», 8, 2004, pp. 3-11.
16 Erano presenti Silvio Trentin, Agostino Zanon Dal Bo, Norberto Bobbio, Mario Dal Pra, Leopoldo Ramanzini, Enrico Opocher ed altri, di cui non è riportato il nome (Zanon Dal Bo, Il Partito d’azione a Venezia, cit., p. 747).
17 Ibidem.
18 Si vedano ad esempio Les 3 problèmes fondamentaux de la liberté dans le monde de demain, s.d. [1942]; L’Italie à la veille de l’effondrement du fascisme, febbraio-marzo 1943; Vive la révolution italienne!, agosto 1943 (Fac similé de Libérer & Fédérer. 14 Juillet 1942-Avril-Mai 1944, Centre d’Etudes et de Documentation sur l’Emigration Italienne, Paris 1985).
19 M. Dal Pra, Prefazione, in S. Trentin, Stato - Nazione - Federalismo, La Fiaccola, Milano 1945, p. VIII.
20 Nel novembre del 1943 però Dal Pra dovette fuggire da Vicenza perché ricercato dalla polizia e si trasferì a Milano (Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 122). A Milano, a fianco di Valiani e Lombardi, con il nome di “Procopio” fu responsabile della stampa del Pd’A fino al 25 aprile 1945.
Gianni A. Cisotto, Il Partito d'Azione Veneto e Silvio Trentin in (a cura di) Fulvio Cortese, Liberare e federare. L’eredità intellettuale di Silvio Trentin, Firenze University Press, 2016
 

venerdì 25 agosto 2023

Assoldare anche ex militari non ancora richiamati alle armi, specie se abbiano già partecipato ad azioni di controguerriglia o a spedizioni punitive

Villa Feltrinelli a Gargnano (BS), residenza di Mussolini sul Lago di Garda tra l’ottobre 1943 e l’aprile 1945

Uno dei primi documenti in cui lo stato maggiore dell'ENR [Esercito della Repubblica Sociale] si confronta con il tema della controguerriglia è un documento segreto dell'aprile 1944 in cui Mischi indica, tra le altre cose, anche le regole da seguire ai fini dell'arruolamento nei costituendi reparti speciali: «Ove possibile, assoldare anche ex militari non ancora richiamati alle armi, specie se abbiano già partecipato ad azioni di controguerriglia o a spedizioni punitive (squadristi, reduci dalla Balcania, ecc.)». <203 Questa precisazione rafforza l'impressione che, per quanto riguarda l'esercito di Salò, ci sia stato un rapporto di continuità tra la partecipazione all'occupazione italiana dei Balcani - la più recente esperienza che aveva consentito ai soldati dell'esercito italiano di sviluppare una serie di competenze in materia di controguerriglia - e la successiva militanza nelle forze armate della repubblica di Salò. È l'ipotesi di lavoro avanzata da Carlo Gentile, che, lamentando la carenza di studi sugli apparati militari e sulle strutture di polizia del fascismo repubblicano, afferma: «I primi dati a nostra disposizione, tuttavia, inducono a credere che almeno per quanto riguarda l'apparato militare e poliziesco ci fosse un nesso tra la partecipazione all'occupazione italiana dei Balcani o l'appartenenza alla milizia fascista e la più tarda militanza nelle formazioni della RSI». <204
Questa ipotesi di lavoro trova conferma non soltanto nelle carriere e nelle esperienze pregresse di molti ufficiali dell'esercito di Salò, ma anche negli atteggiamenti e nei comportamenti tenuti dall'ENR nei riguardi della popolazione civile. A differenza degli altri corpi armati della RSI, la stessa cultura della violenza di cui l'esercito regolare di Graziani era portatore avrebbe dovuto sospingerlo ad una maggiore disciplina e, soprattutto, ad una formale osservanza dei codici e dei regolamenti militari. In realtà, come sappiamo, non mancarono forme di brutalità, che sembrano rinviare alle modalità repressive sperimentate dal regime fascista durante l'occupazione dei Balcani degli anni 1941-1943, quando le truppe del regio esercito si trovarono a muoversi in un teatro di guerra caratterizzato dalla presenza di un nemico - il movimento partigiano - che poteva vantare forti legami di contiguità con la popolazione. <205 Così facendo, anche da parte dell'esercito di Salò si contribuì non poco alla radicalizzazione dello scontro fratricida in un paese precipitato nella spirale della guerra civile. <206 In un simile contesto la lotta antipartigiana della RSI poteva facilmente degenerare fino ad assumere la configurazione della guerra ai civili, punteggiata da forme efferate di violenza contro una popolazione, con cui si potevano vantare anche rapporti di natura amicale, se non addirittura parentale, ma che, quanto meno a partire dall'estate del 1944, era da ritenersi ormai irrimediabilmente perduta alla causa del fascismo repubblicano. «Dopo la caduta di Roma, i fascisti cominciarono a considerare non solo i partigiani in armi, ma anche tutti gli italiani, come dei traditori, come un popolo indegno di questo nome, come un'accozzaglia di individui». <207 Questa concezione, in cui possiamo scorgere un effetto di quella nazificazione del fascismo di Salò su cui ha insistito in particolare Enzo Collotti, contribuì a creare i presupposti per legittimare qualsiasi tipo di violenza contro i connazionali.
In un rapporto scritto subito dopo la sua nomina a comandante della divisione Italia, il generale Carloni constatava la scarsa disciplina esistente tra le sue truppe («La disciplina nelle retrovie non va. L'ho constatato personalmente nelle mie frequenti visite ai reparti. Il fenomeno purtroppo non è circoscritto a qualche reparto ma è di carattere generale, anzi direi endemico») e denunciava i numerosi atti illegali commessi ai danni della popolazione locale: «Innumerevoli anche le violenze dei soldati nei confronti della popolazione civile, poverissima e già così duramente provata, per sottrarre ad essa viveri od altro. Tutto questo deve cessare; i superiori gerarchici, la cui azione è stata sinora deficiente, intervengano immediatamente con tutta la loro energia affinché questo stato di cose, indegno di reparti organizzati, sia al più presto eliminato». <208 Dal versante opposto, è una figura di spicco della lotta partigiana in Piemonte come Mario Giovana a ricordare con quanta facilità la lotta contro la Resistenza potesse degenerare in una vera e propria guerra combattuta ai danni della popolazione civile: «Le squadre antipartigiane, costituite all'interno dei battaglioni della Littorio e della Monterosa, conducono la lotta più ai civili che contro le bande, svolgendo un lavoro di vera e propria polizia che si risolve in arresti, saccheggi di abitazioni, torture verso tutti coloro che vengono sospettati di una sia pur minima collaborazione e connivenza con i volontari». <209
La diffusione degli abusi e dei soprusi trasse indubbiamente vantaggio dalla frammentazione dei poteri in campo militare, che fin dall'inizio contrassegnò la RSI, precocemente colta dal segretario particolare di Mussolini, Giovanni Dolfin, che nel suo diario, di fronte alla proliferazione di «formazioni autonome», costituite «per iniziativa di singoli elementi, per lo più ufficiali superiori, animati di fede o di ambizione», si lamentava del fatto che «in pieno ventesimo secolo» si stesse tornando «all'epoca singolare dei capitani di ventura». <210 A spiegare questo fenomeno, secondo Luigi Ganapini, stava il fatto che ciascun corpo intendeva la propria funzione militare come quella di una banda, «struttura irregolare, per definizione fondata sul volontarismo e su un ideale eroico e individualista». <211 Anche l'esercito della RSI subì l'attrazione e la fascinazione esercitate da questo modello di riferimento. Il comandante militare regionale del Piemonte, generale Massimo De Castiglioni, arriva a chiamare in causa la figura dei ras dell'Etiopia per qualificare il comportamento di quei comandanti che agivano a loro discrezione nella più totale impunità: «I comandanti dei vari reparti si ritengono tanti ras e ritengono lecito fare quello che loro torna più comodo senza dar conto a nessuno delle loro azioni». <212 Questo stato di cose rispecchiava il modo stesso, del tutto disordinato e disorganizzato, in cui era sorto l'apparato militare di Salò. Già risultava difficile far coesistere una pluralità di corpi armati tra loro non soltanto differenti, ma anche concorrenti, ma non doveva certamente essere facile nemmeno imporre la disciplina e l'ordine nello stesso esercito nazionale repubblicano in cui convivevano, fianco a fianco, volontari, ex internati nei campi di concentramento tedeschi, reclute e richiamati alle armi “vittime” della politica dei bandi fascisti di leva. Non c'è quindi da sorprendersi se molti reparti, magari guidati da ufficiali privi di scrupoli, ne approfittarono per mettere in atto comportamenti ai limiti della criminalità comune, caratterizzati da quella che Dianella Gagliani ha chiamato la «licenza di sopruso». <213 Da questo punto di vista il comportamento delle truppe regolari di Graziani non sembra essere stato troppo dissimile da quello di altri corpi armati - le brigate nere, la X MAS, la legione autonoma Ettore Muti, la 1ª legione d'assalto M Tagliamento, ecc. <214 - messi in piedi dal fascismo repubblicano, la cui azione violenta, non esente da venature delinquenziali, è stata tale da lasciare una traccia profonda nella memoria collettiva del popolo italiano.
[NOTE]
203 AUSSME, I 1, b. 51, f. 1825, bande irregolari di controguerriglia, aprile 1944.
204 C. Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-1945, Einaudi, Torino 2015, p. 54.
205 L'analisi delle politiche di repressione dell'Italia fascista nei Balcani meriterebbe un discorso a parte, che, per ragioni di spazio, non è possibile fare. Senza quindi nessuna pretesa di esaustività, sul tema dell'occupazione italiana della Jugoslavia si possono citare in primo luogo gli studi di E. Gobetti, Alleati del nemico: l'occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza, Bari-Roma 2013, di F. Caccamo -L. Monzali (a cura di), L'occupazione italiana della Jugoslavia 1941-1943, Le Lettere, Firenze 2008 e di J. H. Burgwyn, L'impero sull'Adriatico. Mussolini e la conquista della Jugoslavia cit., che si vanno ad aggiungere a quelli pionieristici di Enzo Collotti e Teodoro Sala, di cui mi limito a segnalare soltanto E. Collotti - T. Sala, Le potenze dell'Asse e la Jugoslavia: saggi e documenti, 1941-1943, Feltrinelli, Milano 1974. Per quanto riguarda più nello specifico gli aspetti militari dell'occupazione italiana della Slovenia si vedano A. Osti Guerrazzi, Esercito italiano in Slovenia 1941-1943 cit. e M. Cuzzi, L'occupazione italiana della Slovenia, Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, Roma 1998, a cui è possibile aggiungere la raccolta documentaria curata da T. Ferenc, Si ammazza troppo poco: condannati a morte, ostaggi, passati per le armi nella provincia di Lubiana 1941-1943, Istituto per la storia moderna, Lubiana 1999. Per quanto riguarda, invece, la guerra in Montenegro oggi si dispone dello studio di F. Goddi, Fronte Montenegro: occupazione italiana e giustizia militare (1941-1943), LEG, Gorizia 2016, anche se conservano la loro validità gli apporti di G. Scotti e L. Viazzi, Le aquile delle montagne nere: storia dell'occupazione e della guerra italiana in Montenegro, 1941-1943, Mursia, Milano 1987 e Id. L'inutile vittoria. La tragica esperienza delle truppe italiane in Montenegro, 1941-1942, Mursia, Milano 1989. Si preoccupano maggiormente di sfatare il mito del “bono italiano” i contributi di D. Conti, L'occupazione italiana dei Balcani: crimini di guerra e mito della brava gente (1940-1943), Odradek, Roma 2008 e C. Di Sante, Italiani senza onore: i crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1945), Ombre corte, Verona 2005. Di più ampio respiro, infine, i lavori di E. Aga Rossi -M. T. Giusti, Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani 1940-1945, Il Mulino, Bologna 2011 e D. Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell'Italia fascista in Europa, Bollati Boringhieri, Torino 2003.
206 Sui caratteri specifici della guerra civile, resi ancora più aspri, come sostiene Toni Rovatti, da «un surplus di efferatezza riconducibile alla particolare commistione fra moventi privati e ragioni pubbliche», si vedano le considerazioni espresse da Gabriele Ranzato nel saggio introduttivo al volume da lui stesso curato sulle guerre civili in età contemporanea, Un evento antico e un nuovo oggetto di riflessione, pp. IX-LVI in G. Ranzato (a cura di), Guerre fratricide. Le guerre civili in età contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino 1994. Per il giudizio di Toni Rovatti cfr. Id. Leoni vegetariani cit. p. 130.
207 A. Osti Guerrazzi, Storia della Repubblica sociale italiana cit. pp. 178-179.
208 AUSSME, Fondo Associazione Divisione Monterosa, b. 7, f. 7, disciplina nelle retrovie, 28 febbraio 1945.
209 M. Giovana, Le popolazioni alpine nella guerra partigiana del Cuneese, p. 170 in G. Agosti et alii, Aspetti della Resistenza in Piemonte, Book's store, Torino 1977, pp. 137-180.
210 G. Dolfin, Con Mussolini nella tragedia cit. pp. 173-174. Le annotazioni di Giovanni Dolfin portano la data del 21 dicembre 1943.
211 L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere cit. p. 68.
212 AUSSME, I 1, b. 39, f. 1259, dipendenze disciplinari di reparti dislocati nel territorio del 206° comando regionale, 11 gennaio 1945.
213 D. Gagliani, Violenze di guerra e violenze politiche. Forme e culture della violenza nella RSI cit. p. 314.
214 Sulle brigate nere l'opera di riferimento è naturalmente quella di D. Gagliani, Brigate nere cit. Sulla X MAS si veda J. Greene -A. Massignani, Il principe nero. Junio Valerio Borghese e la X MAS, Arnoldo Mondadori, Milano 2017; sulla legione Ettore Muti M. Griner, La “pupilla” del duce cit. Sulla legione Tagliamento, formalmente inserita nella GNR, si dispone dell'ottimo studio di S. Residori, Una legione in armi cit.
Stefano Gallerini, "Una lotta peggiore di una guerra". Storia dell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2021