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domenica 31 dicembre 2023

Rosa Genoni e Sanremo

Rosa Genoni - Fonte: Giusi Sartoris in pagina ufficiale Rosa Genoni

Su  Rai 3 e su Rai Storia venne presentata un po' più di due anni fa l'affascinante storia di Rosa Genoni

Una donna che aveva fatto importanti prove professionali nella vicina Nizza. 

Eraldo Bigi, con studio da avvocato e abitante in Sanremo, aveva saputo cogliere la presenza della Genoni nella città dei fiori.

Pubblicando il suo articolo su SANREMO, Storia e Tradizioni, Gruppo Pubblico di Facebook, Bigi aveva, altresì, intercettato l'interesse della signora Fabiana Podreider Lenzi, bisnipote della Genoni.

Qui di seguito una parte dei dialoghi che si sono intrecciati su quel gruppo intorno alla figura di Rosa Genoni.

R. M.
solo queste 2 righe, trovate in questo ampio articolo sulla sua vita: " Negli anni successivi alla guerra, Rosa si dedicò ancora all’insegnamento (smise nel 1933 per non giurare fedeltà al fascismo) e allo studio degli scritti antroposofici di Rudolf Steiner. La famiglia si trasferì a Nervi e poi a Sanremo, dove Alfredo morirà nel 1936. "https://www.elle.com/.../a20.../rosa-genoni-stilista-storia/

Fabiana Podreider Lenzi
Buongiorno io sono la bisnipote di Rosa Genoni , @D. G. che fa parte di questo bellissimo gruppo mi ha segnalato le vostre domande e sono felice di poter dare alcune risposte:
Alfredo Podreider marito di Rosa soffriva di un qualche tipo di malattia polmonare e la famiglia si trasferì a Nervi per un periodo poi a San Remo, dove lui poi morí nel 1936.
Rosa e la figlia Fanny trascorsero gli anni della guerra a Sanremo nella Villa in Corso degli Inglesi 100.
La casa fu poi venduta alla fine degli anni ‘50, crediamo sia stata demolita per costruirvi un condomino.
Rosa si spostò a Sanremo anche per sfuggire dalla troppa attenzione della questura di Milano che le faceva perquisizioni frequenti per la sua attività femminista e socialista.
[...]  Era [la casa della dimora Genoni] al numero 100 di Corso degli Inglesi, non so se può essere un indizio sufficiente per recuperare il nome.
[...] Mia madre si ricorda con nostalgia la sua infanzia trascorsa a Sanremo
[...] Casa Haart&fils era inizialmente un negozio di biancheria francese per la casa in Corso Vittorio Emanuele, quando Rosa ne diviene direttrice. L' attività si espande prima aggiungono il primo piano superiore con la sartoria , ma il lavoro cresce e apriranno quattro piani di esposizione e laboratori e impiegheranno 100 lavoranti , ampliando le attività al disegno di abiti da sera , da cerimonia , pellicceria .
Rosa aprì diverse boutique, una a San Remo, una a St. Moritz, le località meglio frequentate dall’aristocrazia del tempo .
Rosa dirigerà la casa di moda fino al 1914 quando allo scoppiare della prima guerra mondiale il richiamo per il pacifismo la coinvolge totalmente facendole decidere di licenziarsi e dedicarsi alla Wilpf. Viaggerà con una delegazione per le maggiori capitali europee per cercare di fermare lo scoppio della guerra.
Era proprio a Londra a colloquio col Primo Ministro quando l'Italia decide di entrare in guerra.

M. F.
@Eraldo Bigi grazie per aver condiviso con a storia di questa signora “pioniera” di modernità! Quale era il negozio con cui collaborava? All’epoca Sanremo aveva parecchie Boutique di moda

Fabiana Podreider Lenzi
@M.F. casa Haardt&fils
[...] rosagenoni, colei che inventò il Made in Italy: è la pagina ufficiale gestita dalla famiglia, se vi piacciono le foto d’epoca e per saperne di più vi invito a seguirla

Eraldo Bigi
@Fabiana Podreider Lenzi fatto. Grazie.

Dino Taulaigo [amministratore del gruppo] Ringrazio Eraldo Bigi e Fabiana Podreider Lenzi per averci fatto conoscere questa importante personaggio delle nostra citta' e per tutte le notizie su di lei che Fabiana ci ha fornito!!! Infinitamente Grazie!!!

Fabiana Podreider Lenzi
@Dino Taulaigo grazie a voi! Spero di non essere stata troppo prolissa, il fatto di scoprire la casa è stata una novità anche per me!

Dino Taulaigo
Tutte le notizie che ci ha fornito sono un piacere per noi!!! Siamo onorati di averci fatto conoscere tante notizie su Rosa Genoni e di averle pubblicate sul nostro Gruppo!!!
 

Adriano Maini

mercoledì 11 ottobre 2023

Il compromesso degasperiano si inserisce nella tradizione del moderatismo italiano che non esclude l’utilizzo della forza e della violenza


Come abbiamo già visto sui temi economici, Mario Del Pero ha invece sottolineato nel suo lavoro sulla natura del rapporto DC-USA all’inizio della Guerra fredda che parlare di totale subalternità di De Gasperi e dei suoi all’alleato americano non è storicamente del tutto corretto: le venature autonomiste e nazionaliste presenti in buona parte della coalizione governativa tesero sempre ad accettare l’influenza atlantica, ma utilizzando la presenza e le pressioni americane spesso per fini dettati dalle logiche nazionali. D’accordo si dice anche Scoppola, in un paragone con il partito moderato risorgimentale che condividiamo e, dal nostro punto di vista, racchiude un significato storico molto più denso: "Non eravamo pienamente liberi ma non eravamo neppure del tutto dipendenti dalle decisioni altrui: influire sulle decisioni americane era l’unica via possibile e responsabile che un uomo politico illuminato potesse seguire. Cosa aveva fatto, negli dell’unificazione, Cavour se non utilizzare il quadro internazionale ai suoi fini, prendendo atto realisticamente dei rapporti di forza esistenti?" <554
Così sul piano economico, su quello militare e, anche, sulle misure di contenimento anticomunista che, in particolare dopo lo scoppio del conflitto coreano, assunsero sempre più caratteri anticostituzionali, De Gasperi resistette e non solo per opportunismo: "Valutando la posizione di De Gasperi sulla base delle pressioni interne ed esterne che egli ricevette affinché venisse promossa una più decisa azione anticomunista, non si può però fare a meno di notare una certa moderazione nelle scelte dello statista trentino. Da questo punto di vista sia il contenuto dei provvedimenti dell’autunno 1950 (con il rigetto dell’ipotesi di utilizzare volontari per svolgere funzioni di polizia) che la gestione dell’iter di approvazione dei medesimi testi di legge (che si arenarono in parlamento o non vennero nemmeno presentati) sembrano costituire un tipico compromesso degasperiano. Un compromesso finalizzato non solo a soddisfare le pressioni statunitensi, ma anche ad attutire posizioni più radicali presenti all’interno dell’alleanza di governo così come nel mondo cattolico organizzato". <555
'Compromesso degasperiano' che si inserisce nella tradizione del moderatismo italiano che non esclude l’utilizzo della forza e della violenza, senza tuttavia compromettere gli equilibri a suo favore, correndo il rischio di cedere quote di potere troppo elevate ai settori oltranzisti poi difficilmente controllabili: "È difficile sfuggire alla sensazione che questa scarsa disponibilità non fosse determinata anche dal timore che la pedissequa applicazione delle misure chiaramente anticostituzionali richieste da Washington avrebbe finito per travolgere la democrazia italiana, portando il paese sull’orlo della guerra civile e ponendo le premesse per una svolta autoritaria di cui potevano essere vittime anche De Gasperi e la stessa Democrazia Cristiana". <556
Sostanzialmente d’accordo si dice anche Bertucelli quando riflette sui motivi del rifiuto, da parte della classe dirigente centrista, dell’alternativa salazariana: "I comunisti vengono esclusi da ogni ruolo di governo o di direzione nella struttura dello Stato, ma continuano a partecipare alle istituzioni della democrazia rappresentativa. La realizzazione di questo delicato equilibrio […] richiede però alleanze forti e impone l’anticomunismo come fattore di coesione irrinunciabile. Un anticomunismo variegato e polimorfo, spesso connotato socialmente, che diviene un tratto distintivo della democrazia del dopoguerra, in grado di relegare in posizione subalterna le culture riformatrici dei partiti di governo e le spinte modernizzatrici nella società". <557
È l’esperienza antifascista, il coinvolgimento profondo di una parte significativa di popolazione e di paese nella guerra di Liberazione, la tendenza ancora embrionale ma manifestatasi di settori non comunisti della società a fare causa comune con PCI e PSI, a impedire tra le altre cose la svolta autoritaria: "La stessa Costituzione, esito alto del tormentato passaggio dal fascismo alla Repubblica e cifra straordinaria di discontinuità con il passato, può essere sospesa, limitata, forzata, ma non se ne possono oltrepassare le norme fondamentali, non tanto perché l’opposizione comunista ne fa una bandiera, ma perché da quella carta trae legittimità lo stesso ceto di governo del dopoguerra che si identifica con la libertà e il nuovo Stato italiano, sorto dalle ceneri dell’otto settembre, e inserito ora in un nuovo ordine internazionale". <558
Queste considerazioni che negano l’asservimento totale e l’imperialismo come categorie utili, in questo contesto, a spiegare l’equilibrio centrista tra costituzione formale (prodotto della Resistenza, fondata sul nesso democrazia-antifascismo) e costituzione materiale (prodotto della Guerra fredda, fondata sul nesso democrazia-anticomunismo), servono a problematizzare il quadro: la sociologia dei conflitti tende a suddividere le modalità di svolgimento e gestione del conflitto da parte degli attori in campo secondo categorie che distinguono chiaramente tra contesto democratico e contesto non-democratico.
Questo ci pone una domanda: è possibile considerare così nettamente separate le due dimensioni? Probabilmente è più corretto ammettere la presenza di sfumature: l’esperienza storica ha dimostrato come diversi gradi di democrazia interna si basino su eccezioni alla norma democratica ufficiale, che intaccano la struttura delle opportunità politiche anche per coloro che sono riconosciuti come cittadini a pieno titolo. Le discriminazioni de iure, soprattutto in presenza di un conflitto interno, che si manifesti sia nelle forme delle campagne dei movimenti sociali, sia del conflitto letale o armato, comportano spesso restrizioni alle libertà politiche e aumento di potere nelle mani di forze dell’ordine e apparati di sicurezza. Si tratta dunque di una potenziale causa di de-democratizzazione. Contrariamente a quanto osservato da C. Tilly e S. Tarrow <559, però, questo processo non è necessariamente innescato da governi democratici a bassa capacità, né tantomeno che hanno subìto un trauma o un indebolimento: paradossalmente sono proprio le democrazie segmentate forti <560 a disporre dei dispositivi dell’eccezione e ad applicarli. In questo, il condizionamento culturale è centrale nell’interpretazione dei fatti sociali e nella percezione del nemico.
Quella che costruisce la classe dirigente neo-popolare e centrista appare a tutti gli effetti una democrazia limitata più che protetta: la molteplicità degli apparati di sicurezza e il peso dell’esercito (che vedremo nelle prossime pagine) non rappresentano infatti un potere capace di dettare l’agenda politica e determinare l’azione di governo (non in modo complessivo quanto meno); è un complesso intreccio tra attori e soggetti, spesso in conflitto tra loro, fatto di condizionamenti e azioni di diversa natura, che però non giunge mai a sollevare il governo dalle proprie prerogative costituzionali. Il sistema di ordine pubblico e agibilità politica che costruiscono Scelba e De Gasperi dunque non tende tanto a proteggere i diritti costituzionali, quanto a limitarne l’accesso per ampi settori sociali e politici. E questa è una tendenza di lungo periodo: "le tradizioni dell’Italia unita sia al livello istituzionale sia al livello delle strategie prevalenti verso gli sfidanti sono di tipo esclusivo. Le istituzioni del regno sabaudo erano caratterizzate da un forte centralismo, un’accentuata supremazia del governo di fronte a un parlamento debole, e una forte influenza dell’esecutivo anche sul potere giudiziario. La domanda che da parte del potere politico giungeva alle forze di polizia, anch’esse tenute sotto stretto controllo, era generalmente quella di una rigida protezione dell’ordine costituito, utilizzando anche le strategie più brutali. […] Il regime fascista portò a un’ulteriore accentuazione dei tratti esclusivi delle istituzioni statali. La legislazione (il codice penale, la legge di Pubblica sicurezza) varata durante il fascismo restò a lungo in vigore anche nella repubblica democratica, con conseguenze durature in termini di un riconoscimento debole dei diritti democratici. […] La forte correzione introdotta dalla costituzione repubblicana nel campo delle istituzioni formali ebbe inizialmente effetti solo parziali a causa dell’ostruzionismo della maggioranza che ostacolò l’introduzione delle nuove istituzioni di controllo e di decentramento del potere come la corte costituzionale, il consiglio superiore della magistratura, le regioni e il referendum". <561
Limitazione che diventa conferma dell’esclusione tradizionale delle classi subalterne: "Queste limitazioni, giustificate proprio con un presunto pericolo per la democrazia, si riflessero in una continuità nella strategia di esclusione del movimento operaio, delle sue organizzazioni e dei suoi partiti, che si cercava di confinare nello spazio della subcultura rossa". <562
Su questo punto non si trova d’accordo Scoppola, che invece ha sottolineato la differenza tra il paternalismo prefascista e il neopopolarismo degasperiano, soprattutto sulla questione sociale e sul ruolo delle classi subalterne: "per De Gasperi la giustizia sociale non discende nella realtà solo in virtù della sua forza morale, non è affidata ad uno Stato attento, dall’alto, al benessere delle plebi […], ma è il frutto di una presenza nuova, attraverso la democrazia politica e il suffragio universale su cui essa si fonda, di operai e contadini nella vita politica. […] La classe lavoratrice nella sua concezione è protagonista e non oggetto di un’azione di rinnovamento sociale […]". <563
Bisogna operare qui, secondo noi, una distinzione tra quella che è la teoria politica, la consapevolezza, che lo statista trentino dimostra e quella che risulta essere la prassi seguita dai suoi governi. Per le ragioni sopra riportate e che ritroveremo nel seguito dell’esposizione, ritroviamo i medesimi motivi da cui nacque, storicamente, la particolare 'subcultura rossa' italiana, e che nel secondo dopoguerra contribuiscono al riprodursi dei suoi caratteri antagonisti e rivoluzionaristi; elementi dovuti anche alla rottura tra i poteri pubblici e le istanze del lavoro, o meglio al rifiuto dei primi nei confronti delle richieste contenute nella politica del conflitto dei ceti subalterni. Costante di lungo periodo che, unitamente al nuovo contesto geopolitico e interpretativo della Guerra fredda, produce il "paradosso - giustificato con costanti richiami all’eccezionalità della situazione italiana - di uno Stato democratico costretto ad affidare le sue sorti ai rigori di una vigilanza autoritaria". <564
[NOTE]
554 P. Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, il Mulino, 1978, p. 181
555 M. Del Pero, L’alleato scomodo. Gli USA e la DC negli anni del centrismo (1948-1955), Carocci, 2001, p. 106
556 Ibidem, p. 156
557 L. Bertucelli, All’alba della Repubblica. Modena, 9 gennaio 1950. L’eccidio delle Fonderie Riunite, Unicopli, 2012, p. 84
558 Ibidem, p. 85
559 C. Tilly, S. Tarrow, La politica del conflitto, pp. 81-84, Mondadori 2008
560 Regimi politici democratico-parlamentari che presentano al loro interno diversi gradi di concessione della cittadinanza politica e di accesso ai diritti civili, producendo così segmenti interni di democrazia. L’esclusione o la limitazione può derivare da criteri etnici, religiosi, politici.
561 D. Della Porta, H. Reiter, op. cit., pp. 24-25
562 Ibidem, p. 25
563 P. Scoppola, op. cit., pp. 91-92
564 G.C. Marino, op. cit., p. 57
Elio Catania, Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017

lunedì 5 aprile 2021

Malgrado la fame, il mio peso era sempre di un quintale circa

Giorgio Amendola con la moglie Germaine

Bisognava ora che le posizioni unitarie affermate a Tolosa fossero fatte conoscere in America e fossero approvate dai gruppi antifascisti che vi si trovavano. Ma, soprattutto, bisognava che quelle posizioni fossero fatte conoscere in  Italia.
Attraverso i «legali», ritornati in Italia, ed i rapporti stabiliti con le famiglie di emigrati, copie dell'appello di Tolosa e circolari e lettere redatte nei mesi successivi, durante il 1942, furono inviate in Italia. Dalla corrispondenza inviata dai «legali» ai recapiti concordati appariva che il materiale inviato aveva avuto una certa diffusione e anche che veniva riprodotto. Una ricerca di archivio dovrebbe permettere di tratteggiare la carta delle aree di diffusione del  materiale inviato dalla Francia. È certo che già entro il 1941 in molte località italiane era pervenuta copia dell'appello di Tolosa. È certamente da deplorare la circostanza che, invece, copia dell'appello sia pervenuta al compagno Massola soltanto nell'estate del '42. Questo ritardo nel collegamento tra il centro estero e il centro interno non mancherà di provocare molti dannosi equivoci. Credo che, per quanto ridotta l'area di diffusione dell'appello di Tolosa, questo abbia servito a promuovere una certa preparazione politica, che dovrà permettere di accogliere con minore resistenza nel '43, dopo il 25 luglio e l'8 settembre, la linea di unità nazionale promossa dal  partito.
Era necessario tuttavia stabilire in Italia un contatto qualificato con gli esponenti antifascisti, per fare giungere loro i testi dei documenti approvati dal Comitato di Tolosa, compresa la lettera redatta da Sereni e diretta ai liberal-socialisti (della cui attività e linea politica eravamo stati informati), e per raccogliere notizie sullo stato in cui si trovavano i partiti antifascisti e sulle linee di attività che andavano svolgendo. Pensammo di affidare questo incarico a Gillo Pontecorvo, cugino di Emilio Sereni, che si trovava a Saint Tropez e che allora era per noi soprattutto un giovane simpatico sportivo, e il «fratello del fisico Bruno Pontecorvo». Ma bisognava prepararlo politicamente a compiere la sua missione, e questa fu l'occasione per fare con Germaine dei viaggi in quella magnifica località, allora ancora intatta nella bellezza delle sue spiagge deserte.
A Saint Tropez aveva trovato rifugio uno strano mondo di ìntellettuali francesi e stranieri, che sembravano vivere fuori del tempo e dello spazio, come se la guerra fosse una cosa remota. (Ma a Saint Tropez vi erano anche dei bravi compagni emigrati italiani, tra i quali il proprietario di un noto ristorante, dove aveva trovato rifugio e una base di attività Claudine Pajetta, che intravidi senza avvicinarla perché la consegna era di non conoscerci).
I viaggi a Saint Tropez erano allietati dalla squisita ospitalità di Gillo e di sua moglie Henriette. Quando non c'era nulla da mangiare, c'era sempre la risorsa della pesca subacquea nella quale Gillo era un asso. Il mare era allora  molto pescoso. Gillo si tuffava e tornava con un grosso pesce, per poi rituffarsi e prenderne rapidamente un secondo. Il primo era destinato allo scambio contro generi in natura: pane, olio, pasta. Il secondo veniva arrostito. E saltava  fuori un magnifico pranzo che per noi affamati di Marsiglia rappresentava una grande festa. Ma non fu per questi motivi turistico-gastronomici che la preparazione di Gillo andò per le lunghe. Alla fine, quando egli partì, si era già nell'estate del 1942.
In Italia egli prese contatto con Edoardo Volterra e questi lo presentò a La Malfa e a Tino. Gillo consegnò a  Volterra il materiale che aveva portato con sé e, tornato in Francia, ci portò informazioni dalle quali risultava che in quel  momento, nel settembre '42, alla vigilia di El Alamein e dello sbarco in Africa degli anglo-americani, lo stato di organizzazione dei partiti antifascisti era ancora assolutamente arretrato. In pratica, si era ancora ai primi contatti. I vecchi «popolari» andavano riannodando prudentemente le fila e preparavano i loro «nuovi orientamenti». I vecchi socialisti erano anch'essi alla fase dei radi contatti tra vecchi amici. Era in corso una discussione sul carattere di un partito nuovo in formazione, dove la pregiudiziale repubblicana spingeva dei democratici liberali come La Malfa accanto ai liberal-socialisti in un bell'imbroglio ideologico e politico, mentre altri democratici liberali venivano respinti a destra verso Croce e i conservatori. Queste informazioni, abbastanza deludenti, contrastavano con quelle provenienti dai nostri compagni «legali», attestanti tutte una crescente estensione del malcontento antifascista nelle masse. In particolare veniva segnalata la importanza assunta dal rifiuto dei contadini di obbedire all'ordine di consegna del raccolto all'ammasso. Veniva indicata la crisi crescente del partito fascista, il dilagare di un atteggiamento di indisciplina, di larga e palese violazione delle disposizioni fasciste.
Portai queste notizie a Nenni che, dopo un breve arresto, era stato trasferito dalle autorità francesi da Palade, nei Pirenei, a Le Croizet, un paese di montagna presso la cittadina di Saint Flour nell'Auvergne. In quel periodo (1942) andai più volte a trovare Nenni. Era una zona della vecchia provincia francese verde e fresca, miracolosamente intatta, non colpita dalla guerra né dalle sue conseguenze. Erano per Nenni giorni di grande ansia per la sorte di sua figlia Vittoria, arrestata a Parigi assieme a suo marito.
L'accoglienza della famiglia Nenni fu molto affettuosa e generosa. Il primo problema era sempre quello di trovare il modo di soddisfare la mia fame arretrata. E la signora Carmen, da brava romagnola, riusciva fare anche il miracolo di trovare la farina per fare delle tagliatele, condite con i funghi raccolti nei boschi da Nenni con la mia impacciata partecipazione. Una volta Nenni arrivò a compiere la prodezza sportiva di portarmi, per non farmi perdere il treno, sulla canna della bicicletta fino alla stazione lontana circa dieci chilometri. Malgrado la fame, il mio peso era sempre di un quintale circa.
In quelle visite, oltre alle questioni politiche di attulità, ci imbarcammo in lunghe e interminabili accalorate discussioni, che ci permisero un ampio e libero riesame critico delle vicende sfortunate dell'antifascismo italiano. Fu in quella occasione che conobbi meglio Nenni e strinsi con lui un'amicizia che dura tuttora e che ha resistito a tutti i motivi di gravi dissensi politici maturati nel corso dei travagliati sviluppi della lotta politica italiana.
Giorgio Amendola, Lettere a Milano, Editori Riuniti, 1973, pp. 68-70

 

domenica 22 agosto 2010

La zona di Latte


La zona di Latte, di cui nella foto si vede un ampio scorcio panoramico, corrisponde, all'interno del territorio comunale di Ventimiglia (IM), all'estremo lembo ligure, prospiciente il mare, verso la Francia. Non entro nella descrizione, almeno questa volta, delle varie frazioni (Latte, appunto; ma anche Mortola - Superiore ed Inferiore -, sede dei magnifici Giardini Hanbury; Grimaldi - anch'essa divisa in Superiore ed Inferiore -; altre) e delle varie borgate e case sparse che costellano l'unica piana colà esistente e le varie alture che accompagnano alle incombenti Alpi Marittime, per accennare almeno, invece, a  storie di uomini veri.

Ho avuto l'onore di conoscere uomini che hanno fatto la Resistenza e che in quella zona avevano già aiutato tanti ebrei e tanti altri perseguitati a fuggire verso l'allora ospitale - ma non sempre, comunque, più di oggi! - Francia, uomini che hanno continuato, senza reclamare onori (a volte, invece, usurpati da altri) a guadagnarsi il pane con la dura fatica del lavoro manuale, in genere quella della diffusa, sino a poco tempo fa, coltivazione dei fiori.

Avevo già in mente di scrivere questi appunti, quando ho ricevuto ulteriore conferma a farlo dalla lettura di una recensione di un libro che narra di un esule (negli anni '30), espatriato clandestinamente in Francia per motivi di lavoro e di antifascismo. L'articolo in questione contiene parole molto belle sia per sottolineare il dramma dei viaggi clandestini di ieri e di oggi, sia per invogliare il lettore a leggere quel libro. E' molto probabile che quella fuga sia avvenuta da queste parti: in ogni caso rinvengo un collegamento ideale con le scarne note che sto tracciando.

Va da sé che, nella storia delle frontiere, compresa la nostra, non si sono solo cimentati eroi, che hanno ritenuto semplicemente di compiere il loro dovere di uomini, ma anche contrabbandieri e veri e propri farabutti.


Pubblico, invece, la foto che si é appena vista (della cui scarsa qualità sono consapevole) solo per dare una pallida idea, dato che l'inquadratura é a livello mare, di un orrido (e, forse, la parte terminale non é questa, ce ne sono altri) denominato "Passo della Morte". Era chiuso in alto dal sentiero preferito, più prossimo al mare, per espatri clandestini e contrabbando. I racconti, specie quelli tramandati a viva voce, ci parlano di tanti incidenti fatali, anche di persone avviatesi da sole nell'ignoto e di persone indirizzate, ma non accompagnate da delinquenti che avevano intascato comunque ancor più indegna mercede. E la tragica denominazione é rimasta e forse a marchiare più punti di passaggio di quelle colline rocciose a picco sulla sottostante stretta fascia litoranea. Altre storie di delinquenza sul traffico di clandestini extra-comunitari andarono poi molto più tardi a concretarsi, e probabilmente tuttora sporadicamente continuano, con l'utilizzo dell'Autostrada dei Fiori.

Alcuni validi scrittori di questa terra hanno raccontato in belle pagine anche quelle tragedie. Nella presente occasione, voglio accennare almeno a Nico Orengo, delle cui opere invito alla lettura. Ne "La curva del Latte" emergono alcuni personaggi di cui ho detto in premessa, riconoscibili, stante la trasfigurazione letteraria, solo a chi ha vissuto intensamente da queste parti ed altri ancora, deceduti prematuramente, così come altre situazioni, altre memorie storiche, il dopoguerra, la bellezza della natura e del paesaggio. L'incanto é tutto nelle vicende narrate con grande maestria dall'autore. Nico Orengo - mi pare giusto sottolinearlo - é stato impegnato nella vita reale, e non solo con la testimonianza resa dalle sue opere, a difendere tanti luoghi belli di questa zona, la Piana di Latte, soprattutto, dall'assalto del cemento. Credo non sempre ci sia riuscito. Io ho il rammarico, nonostante i tanti amici in comune, di non averlo mai potuto conoscere di persona. Ed ormai é poco più di un anno che ci ha lasciati. Questo scrittore ci ha narrato in altri romanzi ed in altre opere altre trame di grande respiro, che hanno anche spaziato in tutto il Ponente Ligure, in Piemonte, in Francia. Difficilmente, tuttavia, se l'ambientazione non era in toto nella zona di Latte, ne trascurava almeno un accenno. Come nel caso di un agile librettino che ci porta con commossa partecipazione dalla Provenza degli impressionisti a posti magici che non ci sono più, con l'inserimento di ritratti di attori americani, passati dalla Riviera e che giustamente sono rimasti nell'animo popolare, e di tante altre belle storie: "Gli spiccioli di Montale".


Nella foto, corrispondente alla parte occidentale della Piana di Latte, l'ultima casa a destra vede il dialogo di esordio de "Gli spiccioli di Montale", o, meglio vedeva, perché, anche se non sono un tecnico, credo che per fare posto all'attuale edificio si sia proceduto alla preventiva demolizione (e non alla semplice ristrutturazione) di quella che in origine era una villa del 1500. Lascio amaramente il tutto senza commenti e senza riferimenti a sfratti e mire immobiliari compiuti dalla pregressa proprietà, la cui identità svelata si presterebbe a molteplici sarcastiche considerazioni.

Avviandomi al termine, mi rendo conto che gli appunti mi sono un po' scappati di mano. E', forse, il fascino di questa zona, derivante anche da tanti uomini che l'hanno vissuta. Mi auguro, pertanto, che ci siano nuovi innamoramenti del Ponente Ligure (anche per contribuire ad evitare nuovi scempi!) e tanti nuovi lettori di Nico Orengo e di altri scrittori liguri.