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martedì 4 luglio 2023

Quando il gruppo partigiano di Tiberio assumerà un rilievo e una combattività notevoli, scoppierà il dissidio con il locale CLN che era in posizione attendista

Chiavenna (SO). Fonte: Wikipedia

Il CLN di Chiavenna, prima cittadina della provincia a costituire la società operaia, è influenzata da Greppi e da Febo Zanon, socialista. Poi, via via, sorgono gli altri. A Bormio, col dr. Adolfo Flora. Svolgono funzione di collegamento e di indirizzo strategico tra il CVL (Corpo Volontari della Libertà), che invia informazioni e detta disposizioni, e le varie formazioni, non sempre, tuttavia, disposte ad accoglierle. Col tempo, i CLN si trasformano in veri e propri centri di comando locali, e tendono sempre più ad armonizzare i loro comportamenti. Due fatti appaiono determinanti nella costruzione del movimento partigiano valtellinese e valchiavennasco. In Bassa Valle, l’interessamento delle Federazioni lombarde del PCI appare decisivo. Dopo alcuni tentativi riusciti solo parzialmente, si decide d’inviare Dionisio Gambaruto (Nicola), un ufficiale d’artiglieria, con esperienze anche nei Gap milanesi. Nicola riesce ad organizzare gruppi già esistenti e a guidarli nella lotta armata. Ha inizio, fin dalla tarda primavera del ’44, una intransigente azione contro i nazifascisti, dalla quale nasceranno due Divisioni “Garibaldi”. In Val Chiavenna, Tiberio (Pietro Porchera), nell’estate, riesce ad organizzare un comando volante, distinto in tre distaccamenti. L’Alta Valle è caratterizzata fin dagli ultimi mesi del ’43 dal VAI (Volontari Armati Italiani), il primo movimento partigiano apolitico, nella primavera successiva già armato ed in grado di battersi, che influenza anche altri gruppi spontanei. La necessità di unificare i vari schieramenti, con l’ausilio dell’intervento di Ferruccio Parri presso il Comando Alleato, porta alla costituzione della 1ª Divisione Alpina “Giustizia e Libertà”, comandata da un capitano di fanteria, Giuseppe Motta (Camillo). La Divisione, nell’insieme assume, almeno a livello di vertici, un atteggiamento di attesa, spesso contraddetto dalle azioni di gruppi partigiani combattivi. L’atteggiamento viene giustificato dalla necessità assoluta, peraltro condivisa da tutti, di salvaguardare gli impianti idroelettrici. A questo punto il quadro delle varie formazioni partigiane e dei loro compiti appare abbastanza definito.  Sergio Caivano, Resistenza e Liberazione nelle nostre Valli. La Medaglia d’argento alla provincia di Sondrio onora il suo secondo Risorgimento, ANPI Lombardia 

Per quanto riguarda la situazione in altre zone del futuro Raggruppamento Divisioni Garibaldi “Lombardia”, è interessante notare l’attività iniziale della resistenza in Valchiavenna: anche in questa zona la suddivisione tra due concezioni politiche si farà sentire, con una scissione tra politica del locale CLN e quella di una successiva formazione di carattere più avanzato, comandata da Pietro Porchera [Tiberio].
Avevamo precedentemente visto che il clima democratico era particolarmente vivo in Valchiavenna anche durante gli anni del fascismo, per la situazione di relativa industrializzazione della zona e per l’esistenza di una coscienza popolare libertaria che si basava su categorie come quella degli scalpellini della zona di Novate - Mezzola, di cui si ricordano le agitazioni e gli scioperi durante il ventennio, o del proletariato chiavennese in generale che aveva sempre costituito una zona “rossa” rispetto alla “bianca” Valtellina.
Il primo sorgere delle formazioni si verifica nella primavera del 1944. Leggiamo nel verbale d’interrogatorio della GNR di Colico, a Febo Zanon, il 10 dicembre 1944 <179: "[…] nel mese di maggio del c.a. ebbi occasione di conoscere un certo Lazzarini Leone, il quale aveva creato un gruppo di ribelli nella zona di Chiavenna, gruppo che sovvenzionava regolarmente fino al rastrellamento della GNR, epoca nella quale egli prima di fuggire a Milano, mi diede l’incarico di consegnare al capobanda Bellini Luigi con le istruzioni per l’ulteriore sovvenzionamento della banda; istruzioni che mi vennero affidate in un secondo tempo, tramite alcune signorine inviatemi da Milano per conto di un certo Ricci [questo è il nome di battaglia] con il quale in seguito a richiesta ebbi occasione di conoscerlo a Milano, la prima volta in Foro Bonaparte, ed avere successivi incontri in Silvio Pellico dove, strada facendo, mi consegnava una busta chiusa indirizzata al signor Luigi Bellini dicendomi che la somma era destinata ai ribelli che agivano nella zona di Chiavenna, somma che si aggirava a seconda delle volte sulle 100000 lire. Appena ricevuto l’incarico da Milano, ritornavo a Chiavenna dove a mio mezzo recapitavo la somma al comandante del Gruppo “Giustizia e Libertà”. Non ha mai dato l’incarico a nessun’altra persona di recapitare le somme destinate alla banda, perché io stesso le portavo in località Sasso de’ Cani, sopra l’albergo Crimea, dove mi incontravo con il Bellini una volta alla settimana e precisamente ogni sabato verso le 17. Al Bellini non consegnavo tutta la somma che mi veniva consegnata dal Ricci ma, secondo le istruzioni la ripartivo in diversi gruppi che consegnavo a seconda delle necessità della banda e in proporzione alla somma che ricevevo. Il numero dei componenti della banda si aggirava sui 7/8 uomini, tenuti esclusivamente come rappresentanti del gruppo “Giustizia e Libertà”, del Comitato demo - liberale, per contrapporli all’espansione delle Brigate Garibaldine composte da uomini di diverse idee politiche ma guidate da commissari politici comunisti, anche se di nazionalità italiana".
Notiamo in questo verbale d’interrogatorio [e dobbiamo appunto ricordarci che di questo si trattava, con tutte le componenti: infatti, si trova allegato al verbale anche un certificato medico, di due giorni successivo datato 12 dicembre 1944, in cui si dichiara il tentativo di suicidio avvenuto il giorno precedente, e cioè dopo l’interrogatorio di Febo Zanon] che la situazione nella zona era basata da un lato su piccole formazioni, collegate con il CLN locale [Pench del partito comunista, Zanon di quello socialista, Greppi del partito d’azione, Corbetta del partito liberale, Ratti per la democrazia cristiana] e aderenti alle brigate G.L., per le quali lo Zanon andava a Milano a prendere i finanziamenti, precisando [in altro passo del verbale d’interrogatorio] che questi provenivano da Foro Bonaparte e cioè dalla Edison. Questo non può certo sembrare strano se pensiamo all’importante centrale di Mese della Edison e al suo interesse perciò ad avere nella zona formazioni “controllate”. É su questa base che anche qui si porrà il dissidio con le formazioni che facevano capo a Tiberio, per via appunto che i gruppi nati sin dal maggio 1944 e poi sempre esistiti, anche se assolutamente inconsistenti sul piano partigiano, hanno rappresentato una posizione o di solo controllo alla suddetta centrale, o di non attività. Quando perciò da fine luglio-inizi agosto il gruppo di Tiberio assumerà un rilievo e una combattività notevoli, scoppierà il dissidio con il locale CLN che era in posizione attendista.
In una circolare del 20 maggio 1944 dell’Ispettore Federale Silvio Cincera, del partito fascista repubblicano, al commissario federale del partito stesso, e in risposta a una comunicazione di questi che proclamava la necessità di riunire i cittadini “puri” per discutere con loro l’importanza di obbedire al bando mussoliniano in scadenza qualche giorno dopo, leggiamo <180: “Rispondo alla tua del 19 maggio 1944 che ha destato in me non poca sorpresa e meraviglia.
Premetto che ho obbedito a un ordine, che da me e dai miei collaboratori è ritenuto assurdo. Osservo, prima di tutto, che un’iniziativa del genere mi sarebbe dovuta essere notificata almeno cinque giorni prima, per invitare personalmente i capi di famiglia interessati. Ho diffuso nei caffè, nei negozi, nei cantieri, nei teatri e dovunque mi fu ordinato. Credo che un sistema ottimo avrebbe potuto essere quello di chiedere il permesso ai parroci, di cui sono ben noti i sentimenti filo-fascisti, affinché un tributo del PFR potesse persuadere [?!?!] questi buoni italiani a fare il loro dovere nei confronti della Patria! Se noi pensiamo che una piccola raffica di mitragliatrice, qualche ritiro di licenza di commercio, avrebbe dato migliori risultati, ci asteniamo dal seguire una strada errata. É arrivato il camerata maggiore Gardini, il quale ha trovato un locale ben attrezzato per ricevere i “puri”; dopo mezz’ora di attesa si sono presentate unicamente due persone, coi figli regolarmente in Svizzera. É certo, caro Rodolfo [Parmeggiani], che di questo passo noi faremo poca strada nel senso fascista. Il nostro atteggiamento di longanimità è stato interpretato come un calamento di braghe e cosa poco seria. Per dirti fino a qual punto di sfrontatezza e di spudoratezza si arriva, mi vedo sul tavolo un gruppo di domande per guardialinee telefoniche e telegrafiche, di certi individui che, non avendo obblighi militari immediati, cerca di stornare un’eventuale minaccia e di mettersi al coperto da colpi. Il camerata maggiore Gardini ci riferirà verbalmente sulla situazione che ha prospettato e che si riassume nella constatazione che la maggior parte dei renitenti alla leva si trova in Svizzera e che tutti godono di ottima salute, e che i genitori, ormai tranquilli sulla loro sorte, continuano indisturbati nei loro traffici al solo scopo… del “bene inseparabile del Re e della Patria”. Scusami lo sfogo. Ma ne ho… [indovina].”
La lettura del documento ci dà uno spaccato evidente dell’isolamento in cui si trovava il fascismo nei confronti della popolazione valtellinese. Inevitabile che di fronte a un così disastroso atteggiamento, prendesse posizione il desiderio di risolverla “fascisticamente”, tagliando i nodi “gordiani” mussolinianamente, con una “piccola raffica di mitragliatrice” [come consigliava Buffarini Guidi, “sparando nel mucchio”]. Ed è questa una constatazione importantissima ai fini della comprensione della Resistenza in generale. La lotta partigiana era combattuta “dal punto di vista delle masse popolari”, rispecchiava il loro interesse e la loro volontà di finirla col fascismo. Se la punta di diamante erano le formazioni armate, territoriali e di montagna, tuttavia queste non avrebbero potuto creare una situazione militarmente e politicamente vincente, senza l’appoggio “generale” della popolazione. La Resistenza esprimeva cioè l’interesse individuale del cittadino globale della nazione.
18.5 Poi ci sono anche i sacerdoti
É pure interessante notare quel riferimento al clero “filofascista”, in cui si denotava la rabbia del repubblicano di vedersi tradito anche in Valtellina, zona tradizionalmente cattolica, da quel Vaticano che dai patti lateranensi in poi […l’uomo inviato dalla provvidenza…] era stato un valido puntello al regime. Nello specifico, il Cincera si riferiva alle posizioni di antifascismo del clero locale, culminate [in quell’inizio di primavera] nell’arresto del parroco di Sondalo.
[NOTE]
179 Cfr. Documenti della Resistenza Valtellinese. Febo Zanon venne arrestato in seguito alla delazione di una spia, Alberto della Pedrina. Quest’ultimo, dopo la Resistenza sarà oggetto di atti d’accusa da parte dello stesso Zanon.
180 Cfr. Documenti della Resistenza Valtellinese.

Marisa Castagna, La Resistenza politico-militare sulla sponda orientale del Lario e nella Brianza Lecchese, Tesi di Laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Anno Accademico 1974-1975, tesi qui ripresa da Associazione Culturale Banlieu 

A riprova di quanto affermavo poc'anzi circa il nostro desiderio di collaborazione, sollecitai una missione del comando della 52/a. La riunione avvenne verso la metà di novembre e della nostra delegazione facevano parte oltre a Sardo, Rumina e Mosé. Io non vi partecipai perché non mi andava per il momento di mettermi ancora a discutere con gente che mi aveva definito un comunista e in quanto tale un sanguinario che non teneva conto della reazione che i fascisti con le loro rappresaglie potevano arrecare danni incalcolabili nella zona. Ma anche tale tentativo si risolse in una nuova rottura ed il C.L.N. mandò un rapporto allo stesso organismo provinciale di presunto tentativo nostro di disarmare e catturare il gruppo G.L. Tale rapporto faceva parte della ossessionante campagna denigratoria nei nostri confronti poiché non ci era mai balenata per cervello una simile ipotesi. La verità è che tale gruppo ricevette l'ordine di sciogliersi e passare in Svizzera anche armato. Zanon ai primi di dicembre venne arrestato (da un’informazione di Maio della metà del mese risulta invece che si sarebbe consegnato spontaneamente) mentre noi gli avevamo offerto protezione con eventuale accompagnamento in Svizzera, non ritenendolo in grado di affrontare la durezza della vita in montagna. E dai fascisti di Chiavenna venne trasferito all'U.P.I. di Colico, dove dopo gli interrogatori in cui aveva riferito sulla costituzione del gruppo G.L, sui finanziamenti che riceveva e da chi a Milano allo scopo di contrapporlo allo sviluppo delle brigate Garibaldi “comandate da commissari comunisti anche se italiani” tentò di svenarsi, come si seppe e come risultava da un certificato medico con prognosi di qualche giorno. Da qui venne trasferito all'infermeria del carcere di S. Vittore a Milano, dove vi rimase fino alla Liberazione [...] Facendo un passo indietro in riferimento ai dissidi ideologici tra le varie componenti della Resistenza in Valtellina fomentati dagli esponenti moderati dei C.L.N. con l’appoggio dei notabili delle formazioni dell’Alta Valtellina si verificarono anche nelle formazioni comandate da Nicola, degli attriti, che portarono alla secessione capitanata da Giumelli e Ghislanzoni, che furono gli epigoni forse anche non del tutto consapevoli del piano più vasto in atto per la tranquillità della borghesia locale. Giumelli e Ghislanzoni nel loro tentativo di organizzare un forte reparto da contrapporre a Nicola al grido di “La Valtellina ai valtellinesi” si spinsero anche in Val Chiavenna prendendo contatto con il nostro distaccamento dislocato sui monti di Verceia. Avuto sentore della cosa mi precipitavo subito in quel reparto con Rumina giungendo poco dopo l’arrivo dei due che stavano esponendo i motivi della secessione ed i programmi di contrapposizione alle formazioni Garibaldine di Nicola che egemonizzavano tutta la Bassa Valtellina da Sondrio in giù.
Pietro Porchera  (Tiberio), Testimonianza, Associazione Culturale Banlieu 

domenica 28 maggio 2023

La banda partigiana di Beltrami non è politicizzata


A Novara Gino Vermicelli cerca dei contatti comunisti e arriva tramite vari informatori a Romagnano, presso lo studio di un avvocato, dove si riunisce il Fronte Nazionale dei cinque partiti antifascisti, l’embrione del CLN.
Lentamente riprende i contatti con i compagni di Borgomanero, Omegna, Gravellona; in questo periodo egli conosce Gaspare Pajetta, che diventerà suo grande amico. L’8 settembre è per tutti una doccia fredda: il CLN è costretto a spostarsi a Meina per sfuggire ai Tedeschi che hanno velocemente occupato Novara. Gino e Gaspare rimangono in città per riorganizzare la federazione del partito: nascosti in un deposito di vernici scrivono e stampano “La Lotta” <33, un periodico fondato da loro che continuò ad esistere fino al 1961. Presto vengono raggiunti da Pietro Flecchia, un confinato comunista biellese che pretende di assumere la direzione della federazione. Gino viene così “retrocesso” a responsabile militare: il suo compito diventa organizzare la Resistenza. Il nuovo incarico affidatogli lo porta a Borgosesia, dove conosce Cino Moscatelli, personaggio di spicco che, d’accordo con l’ex-podestà della città, raccoglie armi e sbandati per organizzare la guerriglia; non rimane però con lui a causa di alcuni problemi sorti tra Vermicelli e gli altri combattenti.
Gino decide di raggiungere l’altro gruppo partigiano della zona, quello del “capitano” Filippo Maria Beltrami, ma è coinvolto in una trappola tesa dai fascisti. Viene infatti catturato insieme al commissario politico di Beltrami: fortunatamente entrambi sono presto liberati grazie ad uno scambio di prigionieri. La decisione finale di Gino, che da questo momento sarà Edoardo, è salire in montagna con Beltrami, che l’ha salvato. Così egli sale a Campello Monti, dove ritrova l’amico Pajetta, che si era già unito al gruppo del “capitano”. Questa non è una banda “politicizzata”: Beltrami, essendo un ex ufficiale, adotta ancora la mentalità e i modi di fare tipici del regio esercito, con le sue gerarchie e i suoi cerimoniali; Gino e Gaspare organizzano comunque una cellula comunista all’interno del gruppo.
Purtroppo la banda viene presto decimata durante una sanguinosa battaglia avvenuta a Megolo [nd.r.: Frazione di Pieve Vergonte (provincia del Verbano-Cusio-Ossola)], il 13 febbraio 1944: Gino sopravvive per miracolo, ma l’amico Pajetta e Beltrami soccombono. “Edoardo” torna così a Rimella da Moscatelli, dove, ritrovati altri sopravvissuti alla battaglia di Megolo, si forma un nuovo distaccamento, che viene mandato in Val d’Ossola.
Vermicelli ottiene l’incarico di commissario politico per questo nuovo gruppo. La figura del commissario politico è fondamentale per tutte le formazioni partigiane, dalla più piccola, il battaglione, alla più numerosa, la divisione: affianca in ogni decisione il comandante, e si occupa della politicizzazione dei volontari, cioè deve insegnare loro l’etica del partigiano, i valori e i comportamenti da seguire in battaglia e nei confronti della popolazione che vive nelle montagne. Vermicelli cerca sempre, durante gli anni da partigiano, di comportarsi in modo eticamente irreprensibile, per dare il buon esempio ai giovani.
Il continuo afflusso di volontari, conseguente all’emissione dei bandi Graziani per l’arruolamento forzato, trasforma il distaccamento in battaglione; arriva anche il nuovo comandante, che deve affiancare Vermicelli al comando: Andrea Cascella. Il gruppo si disloca un po’ in Ossola, un po’ in Val Formazza e un po’ in Val Antigorio. I rastrellamenti operati dai Tedeschi sono abbastanza frequenti, per cui i partigiani devono essere spesso in movimento, per evitare di essere individuati. In poco tempo il battaglione diventa divisione, e “Edoardo” ottiene dal CLN l’incarico di vice-commissario.
La liberazione dell’Ossola, che avviene tra il 9 e il 10 settembre 1944 e a cui contribuisce anche Vermicelli, è un fatto spontaneo, non stabilito a tavolino da nessun comando superiore. I vari fortini nazifascisti dislocati un po’ ovunque nella valle sono attaccati quasi simultaneamente da vari gruppi partigiani, comunisti o autonomi, e facilmente occupati. I Tedeschi abbandonano Villadossola, dove c’è il comando tedesco, senza nemmeno aprire il fuoco, lasciando il posto ai partigiani, che prendono in mano il governo della valle, costituendo la Giunta provvisoria di governo dell’Ossola. Vermicelli però rifiuta di partecipare alla gestione della zona: secondo lui il controllo del territorio deve essere lasciato agli abitanti, poiché il compito dei partigiani è solo quello di liberare le zone occupate, non di governarle.
La mancanza di aiuti materiali e di assistenza da parte degli Alleati fa presto fallire questo tentativo di governo democratico, che dura soltanto 43 giorni, dal 10 settembre al 23 ottobre 1944: un nuovo attacco tedesco partito da Gravellona respinge di nuovo i partigiani, che sono costretti ad abbandonare Domodossola.
Dopo la sconfitta, Vermicelli contribuisce a riorganizzare la divisione; i vari distaccamenti ottengono lanci e aiuti dal CLN per affrontare l’inverno alle porte, e riescono ad attuare piccole operazioni di guerriglia, per poter controllare le centrali elettriche della Val Antigorio.
33 “La Lotta”, Novara (1947-1961).
Sara Lorenzetti, Gino Vermicelli tra Resistenza e scrittura, Tesi di laurea, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, Anno accademico 2006-2007 

[...] "Un bel dì mi venne il fregolo/di fermarmi in quel di Megolo!”. Così inizia così la canzone scritta dal Capitano Filippo Maria Beltrami dopo la faticosa traversata invernale dei suoi partigiani dopo l'abbandono della Valstrona alla fine di gennaio 1944. Non tutti gli uomini, dei quasi trecento che costituivano la "Brigata Patrioti Valstrona", arrivarono nella frazione di Pieve Vergonte: una sessantina se ne andò deponendo le armi; un gruppo sbagliò sentiero e paese; alcuni abbandonarono la formazione durante il tragitto; altri furono inseguiti e impegnati in combattimento. A Megolo, col Capitano, giunsero soltanto una quarantina di uomini. Il componimento, scritto dopo una cena all'albergo del Ramo Secco, risente di quelle disavventure. Nelle due settimane in cui si fermò a Megolo, Beltrami attese per ricostituire la formazione, allontanandosi soltanto per effettuare un attacco alla casermetta di Vogogna. La posizione non era certo favorevole, oltre che facilmente individuabile era poco adatta ad un combattimento. All'alba del 13 febbraio del 1944 i reparti delle SS, appoggiati da una compagnia di repubblichini, giungono a Pieve Vergonte con l'intento di stroncare la Resistenza partigiana. Sorpresi nel sonno, due giovani vengono catturati e torturati ma non riveleranno nulla. Saranno fucilati accanto all'osteria del paese. Intanto i 53 partigiani del Capitano Filippo Maria Beltrami, avvisati del rastrellamento, si preparano a resistere sulle balze del Cortavolo a Megolo contro più di cinquecento nazi-fascisti perfettamente armati. L'armamentario dei partigiani è misero: una mitragliatrice, due mitragliatori, un mitra e una cinquantina di moschetti. La nebbia dà loro una mano, celandoli sino al momento in cui i nazi-fascisti sono a tiro. La battaglia sarà lunga e cruenta vivendo fasi alterne: i partigiani non si arrendono anzi, riescono anche a costringere i nazi-fascisti a un disordinato ritiro. Ma le forze in campo sono troppo impari. Nell'abitato di Megolo il momento più tragico della battaglia, è una strage. Cade il capitano Beltrami e due giovani combattenti che si spingono in suo aiuto: lo studente 17enne Gaspare Pajetta e Antonio Di Dio, 20 anni, ufficiale di carriera unitosi alla Resistenza dopo l'8 settembre. Quella battaglia segnò l'apice e contemporaneamente la fine della "Brigata Patrioti Valstrona". Caddero combattendo Filippo Maria Beltrami "Il Capitano", Carlo Antibo, Giovanni Bressani Bassano, Aldo Carletti, Gianni Citterio, Angelo Clavena, Bartolomeo Creola, Antonio Di Dio, Emilio Gorla, Paolo Marino, Gaspare Pajetta ed Elio Toninelli. Nel piccolo cimitero di Megolo sono ancora sepolti Gaspare Pajetta e lo studente Aldo Carletti che con lui, da Torino, s'era arruolato nella "banda" Beltrami e vi era morto al fianco, quella mattina, poco dopo le otto. Qui hanno voluto essere sepolti i genitori di Gaspare Pajetta e anche i due fratelli, Giuliano e Giancarlo.
Marco Travaglini, Val Grande, Memoria resistente: la Val Grande e Megolo, 26 ottobre 2022

La battaglia di Megolo fu uno degli episodi più eroici della Resistenza. Il 13 febbraio 1944, alle prime luci dell’alba, reparti delle SS, appoggiati da una compagnia della GNR, invasero la piccola frazione di Pieve Vergonte, con l’intento di stroncare la Resistenza dei ribelli che operavano in quel luogo. Due giovani partigiani, che riposavano in attesa di raggiungere i loro distaccamenti, furono sorpresi nel sonno e catturati. Trascinati davanti al comandante delle SS furono a lungo e invano torturati, non fecero alcuna rivelazione. Alla fine, ormai quasi in fin di vita, furono fucilati nella piazzetta a lato dell’osteria del paese.
Avvertiti del rastrellamento in corso, i partigiani della valle, al comando del Capitano Filippo Maria Beltrami, architetto, 36 anni,  medaglia d’Oro al Valor Militare, si disposero a resistere: erano 53 uomini con una mitragliatrice, due mitragliatori, un mitra e una cinquantina di moschetti contro più di cinquecento nazi-fascisti armati di tutto punto, con un cannoncino, due mortai, tre mitragliatrici, fucili mitragliatori e mitra.
Mentre la nebbia di disperdeva e i raggi del sole iniziavano a illuminare il nuovo giorno, i partigiani osservavano in silenzio l’avanzare della colonna nemica. Era necessario attendere che i nazi-fascisti giungessero a tiro, per non sprecare le munizioni. I tedeschi avanzavano su tre linee distanziate fra loro di qualche metro, i fascisti avanzavano sulle due ali. Finalmente il Capitano diede il segnale e i partigiani iniziarono a sparare. Fu una battaglia lunga e cruenta, con fasi alterne. Più volte il fuoco dei partigiani costrinse gli avversari a ripiegare, ma sempre essi si riconpattavano e tornavano all’attacco. L’ unica arma pesante dei partigiani s’inceppò e dovette essere abbandonata, uno dei due mitragliatori fu raggiunto da un colpo di mortaio. Con le poche munizioni rimaste non potevano più resistere a lungo. Il Capitano respinse per la seconda volta l’invito ad arrendersi. Era necessario attaccare il nemico e i partigiani balzarono all’assalto. Sorpresi dall’azione i nazi-fascisti iniziarono a ritirarsi disordinatamente, inseguiti dai ribelli. L’azione terminò nell’abitato di Megolo, dove gli inseguitori furono falcidiati dalle mitragliatrici dei rinforzi giunti dall’Ossola in appoggio dei nazisti. Cadde anche il capitano Beltrami, mentre cercava di riorganizzare i suoi uomini, e caddero, mentre cercavano generosamente di soccorrerlo, Gaspare Pajetta, studente torinese di 17 anni e Antonio Di Dio, di 20 anni, un ufficiale di carriera che dopo l’8 settembre si era unito alla Resistenza.
Un fascista, raggiunto Beltrami, fece scempio del suo corpo con un pugnale.
Il Cap. Simon, invece, riconoscendo la generosità, il valore, il coraggio, la nobiltà dei sentimenti dell’eroico comandante partigiano gli fece tributare gli onori militari da un reparto di SS.
Redazione, La battaglia di Megolo, ANPI Como, 15 maggio 2013

martedì 25 aprile 2023

Gli ultimi scontri armati e le ritorsioni naziste sui civili nell’area ovest della Val di Nievole

Pescia (PT). Fonte: mapio.net

Dopo aver colpito il 23 agosto del '44 nell'area del padule di Fucecchio, le operazioni dell'esercito tedesco, temendo, da quando l'armata britannica si era sganciata per dirigersi a Pesaro, una imminente avanzata degli americani nel territorio della Val di Nievole, si concentrarono a nord-ovest della piana tra Pescia e Collodi e lungo la via di fuga nell'area collinare da Vellano a Pietrabuona, San Quirico, Medicina, Sorana, Malocchio e Prunetta.
Nella zona di Malocchio nel Comune di Buggiano il 24 novembre del '43 vi era stato un grande rastrellamento tedesco con diversi civili trasferiti temporaneamente alle carceri di Pistoia a seguito dell'uccisione, in date diverse, di due noti fascisti. Si trattava del pesciatino Romolo Del Sole fucilato da ignoti antifascisti in località Le Carde, di Orlandi Gherardo detto 'Crispino' ritenuto complice dell'uccisione di due giovani avvenuta a Malocchio ai tempi del primo squadrismo nel lontano 29 settembre 1922.
Come viene rievocato da Amleto Spicciani <71, accadde che il 5 settembre '44, mentre la città di Pescia veniva devastata dai genieri tedeschi in ritirata e si vedevano le brutali impiccagioni di civili lungo il fiume, una pattuglia di tedeschi e di militi repubblichini si mosse verso Malocchio per attuare una operazione di rappresaglia e di cattura dei soldati angloamericani che da mesi avevano trovato rifugio e protezione in quella zona. Si trattava di alcuni prigionieri inglesi fuggiti dai campi di concentramento di Lucca e di due piloti americani di un aereo alleato precipitato in località La Serra.
Dopo aver catturato Gino Ricciarelli e aver trovato nella casa di Stefano Lavorini un fucile dimenticato dai partigiani, i tedeschi uccisero sul colpo Mazzino Gigli che usciva dal bosco scambiato, solo per questo, per un partigiano. Uccisero poi, fuori della loro casa, Lida Menni e Laura Lavorini che aveva in bracco il figlio Aldo rimasto ferito al pari di Gina Papini e dell'anziana Bruna Lavorini. La generosa accoglienza ai prigionieri alleati portò la piccola frazione collinare a subire questa ultima violenza.
Ad ovest di Borgo a Buggiano, nella zona di Pescia, sporadici scontri fin dal mese di luglio avevano acuito la tensione delle truppe tedesche dopo l'uccisione di un loro soldato, avvenuta il giorno 21 a Vellano, ad opera di un partigiano. Il giorno 24 sulla via per Pietrabuona, a seguito di un lancio di bombe a mano all'interno di una cartiera che i tedeschi stavano perlustrando, un altro soldato tedesco era rimasto ucciso ed un terzo, gravemente ferito, all'indomani era morto all'ospedale di Pescia.
Questo stillicidio di assalti partigiani e di vittime tra le proprie file, come era prevedibile, acuì il desiderio di ritorsioni da parte dei tedeschi che intensificarono le loro perlustrazioni nell'intera area collinare della cosiddetta 'Svizzera pesciatina' per cui il 17 agosto a Vellano si ebbero altri due morti per parte nel corso di un violento scontro a fuoco tra tedeschi e partigiani. Il vescovo diocesano monsignor Simonetti, che aveva chiesto clemenza verso la popolazione civile direttamente presso Kesselring, nei giorni in cui, fino a metà luglio, questi stava a Monsummano, si rivolse ai parroci della Val di Nievole.
Il suo messaggio invitava i sacerdoti a capo delle varie parrocchie affinché dicessero a “quei ragazzi dei boschi”, cioè ai partigiani, di stare molto attenti a quello che facevano dal momento che i manifesti affissi dal Comando tedesco avvertivano che per ogni soldato tedesco ucciso dieci italiani sarebbero a loro volta stati fucilati. Ma ormai si era giunti alla resa dei conti tra l'ansia di cacciare i tedeschi e la ferocia con la quale questi difendevano palmo a palmo la loro ritirata. La via di fuga verso La Lima e l'Abetone per attestarsi sulla Linea Gotica era divenuto il più tormentato passaggio e obiettivo da dover raggiungere.
Tra il 17 e il 19 agosto era poi accaduto il caso di San Quirico. Due ufficiali tedeschi in località La Piana, mentre accompagnavano a casa un fascista che, sapendosi ricercato dai partigiani, aveva chiesto protezione a quegli ufficiali germanici, vennero uccisi da un gruppo di disertori tedeschi. Questo episodio avrebbe dato luogo ad una sanguinosa ritorsione che di seguito riferiamo nella testimonianza del sacerdote Vincenzo Del Chiaro costretto a presenziare alla fucilazione di venti persone.
«La sera del 17 agosto '44 in casa degli eredi di Eufisio Quilici di Pariana, casa posta in San Quirico, località La Piana, abitata da Salvatore Altiero sfollato da Livorno, si teneva una cena tra i dirigenti della Todt alla quale prendevano parte anche gli ufficiali tedeschi Flozet Iacchin, Fopp Fleinz e Cinbet Wichert, dei quali i primi due rimarranno uccisi nelle circostanze di cui appresso.
Nel frattempo, persone dal fare sospetto si aggiravano nei pressi della casa di Edoardo Consani nella quale, sfollato da Pescia, abitava Nello Scoti, repubblichino inviso ai partigiani e sospetto di possedere una radio trasmittente al servizio dei tedeschi della quale i partigiani volevano impossessarsi. Due ufficiali tedeschi si dissero disposti ad accompagnarlo fino a casa.
Lungo la strada che conduce ad Aramo, giunti nei pressi della casa del Consani, incontrarono sei tedeschi che, pur vestendo ancora la divisa militare, avevano disertato e si erano uniti ai partigiani che stavano nel paese di Medicina. Erano accompagnati da Roberto Darini e da un francese; il gruppo era invece capitanato dal ben noto Franz. Gli ufficiali tedeschi intimarono l'alt e dissero: 'Voi essere partigiani'. No, rispose Franz, 'noi camerati'.
Alla richiesta di documenti, Franz estrasse una pistola, mentre teneva quella d'ordinanza nella fodera, e fece fuoco contro i due ufficiali che non fecero in tempo a difendersi dal fulmineo gesto. Uno dei due morì sul colpo e l'altro appena raggiunto l'ospedale di Pescia. La mattina del 19 agosto il paese di San Quirico fu raggiunto da un reparto tedesco che lo circondò affinché nessun uomo tra quegli validi, che comunque si erano allontanati fin dal giorno precedente, ne uscisse fuori.
Il paese venne saccheggiato e poi messo a ferro e fuoco; 50 furono le case distrutte, 19 quelle incendiate, le altre danneggiate. Contemporaneamente l'ufficiale ordinò al pievano di far preparare nel cimitero una fossa capace di contenere 20 cadaveri mentre un altro reparto in prossimità di Pietrabuona fermava sulla via Mammianese un gruppo di 47 persone che, dopo essere state rastrellate e condotte alla Lima per eseguire fortificazioni sulla Linea Gotica, erano state mandate indietro perché risultate non idonee a quel lavoro. Tra queste vi era un solo residente del posto. Ne vennero scelti a caso 20 e avviati a San Quirico dove vennero fucilati in quattro gruppi davanti alla fossa comune». <72
Questo episodio si distingue per la sua tragicità che vede soldati tedeschi (disertori) che uccidono altri soldati tedeschi e quella di una rappresaglia nella quale morirono ben due decine di civili - tra i quali di abitanti della zona di Pescia, dove erano stati uccisi in località La Piana due ufficiali, ve ne era uno solo - civili che erano da poco tornati liberi dato che gli stessi tedeschi li avevano rimandati a casa, perché non più necessari al lavoro in corso sulla Linea Gotica.
Un assassinio a sangue freddo, perché fuori da ogni logica di rappresaglia per precedenti attacchi subiti dai tedeschi, fu invece quello compiuto il 14 settembre nel cimitero di Vellano dove una donna, Giuseppina Sansoni, venne uccisa da soldati tedeschi di passaggio mentre era china a pregare sulla tomba del figlio Vittorio, partigiano ammazzato giorni prima al ponte di Sorana. Brutale assassinio fu anche quello di due giovani donne livornesi, Iris Stiavelli e Miriam Cardini, mutilate e gettate in una fogna a Pietrabuona da un manipolo di soldati tedeschi “senza onore” mentre stavano risalendo la collina verso settentrione.
Nella sua rievocazione, Giorgio Calamari ricorda molti altri episodi accaduti nell'area pesciatina che portarono al sacrificio di cento e più vittime civili molte delle quali nell'imminenza della ritirata dei tedeschi, ma anche altri episodi precedenti come quella di impiccati, nella zona centrale del paese, appesi ai rami degli alberi lungo il fiume Pescia. Vittime di pattuglie tedesche in transito verso la Lima erano state il 5 settembre anche due donne a Malocchio e altri tre giovani alla Serra.
Il 6 settembre molte case di Pescia vennero minate da genieri tedeschi per ostacolare l'imminente avanzata degli Alleati. Nella circostanza rimasero uccisi i coniugi Orsucci e le vedove Magnani con le loro giovani figlie. Il 7 settembre a Collodi vennero giustiziati tre partigiani livornesi che operavano nella zona di Villa Basilica. Persino l'8 settembre, mentre Pescia veniva liberata dagli Alleati, una pattuglia tedesca tra Ponte di Sorana e Ponte a Coscia fucilava due giovani partigiani sorpresi armati mentre tornavano da una missione.
Nello stesso giorno altri soldati tedeschi sparavano e uccidevano tre uomini mentre cercavano di sottrarsi alla cattura. Infine in località Medicina venivano ammazzati due partigiani, Elio Mari e Foro Lenci. L'8 settembre Pescia fu finalmente liberata, ma i tedeschi, annidati sulla collina e non paghi del sangue che avevano fatto versare a decine di innocenti, nei giorni 12 e 13 continuarono a cannoneggiare il centro di Pescia causando ulteriori 14 vittime. <73
[NOTE]
71 Amleto Spicciani (don), Il 5 settembre 1944 a Malocchio di Buggiano, Stampria Vannini, Buggiano, 2008.
72 Vincenzo Del Chiaro, (don) Le tragiche giornate di San Quirico in Valleriana, in Memorie di guerra, Stamperia Benedetti, Pescia, 1944, trascitto in www. digilander/sanquiricoinvalleriana/eccidio.
73 Giuseppe Calamari, In memoria delle vittime pesciatine della barbaria nazifascista, Stamperia Benedetti, Pescia, 1945. Dino Birindelli, Pescia 1944. Tre giorni di settembre, Stamperia Benedetti, Pescia, 1984.
Vasco Ferretti, La resistenza nel pistoiese e nell'area tosco-emiliana (1943-1945). Rivisitazione e compendio di una terribile guerra di liberazione, guerra civile e guerra ai civili, Firenze, Consiglio regionale della Toscana, giugno 2018

giovedì 21 ottobre 2021

Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine nella missione britannica Danbury in Carnia...

Pianoro del Monte Pala (Anduins di Vito d’Asio), autunno 1944: davanti alla sede del comando del Battaglione Italia-D.D. (3° Brigata Osoppo-Friuli), i componenti del gruppo Danbury assieme ad alcuni partigiani. È probabile che MacCabe sia l’autore della foto. Il primo a sinistra è Cheyney; al centro, con la piccozza, c’è Simon. Alle sue spalle, con il basco nero, c’è Hauber, la cui presenza fa risalire lo scatto almeno alla seconda metà di ottobre. Tra gli altri, si riconoscono anche i fazzoletti verdi Burbo, Muk, Cepe, Caverna, Speranza, Rex e Fuca. Rimane non identificato il primo uomo a destra, da alcune fonti genericamente indicato come “membro della missione inglese” (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

È la notte tra il 12 ed il 13 agosto 1944. Al chiaro di luna, nel cielo del Friuli vola un aereo decollato da una delle basi pugliesi della Royal Air Force britannica. In attesa di lanciarsi con il paracadute ci sono uomini scelti per un’importante missione organizzata a Monopoli, nel quartier generale del SOE in Italia: tre agenti costituiscono il gruppo Danbury. Indossano la divisa degli ufficiali inferiori britannici ma, in realtà, sono Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine dopo l’ascesa del nazismo e rifugiati nel Regno Unito. I tre sono stati appositamente addestrati dal SOE come specialisti nel maneggiare gli esplosivi e sabotatori. L’obiettivo segreto di Danbury è il sabotaggio della linea ferroviaria Villach-San Candido, nel tratto tra Greifenburg, nella valle della Drava, e Sillian, in Alta Val Pusteria, nel Tirolo Orientale.
Redazione, La Panarie 1968-2018: cinquanta anni di cultura (opuscolo per il 50° della rivista), 7-13 ottobre 2018 

Un gruppo di agenti della X Section del SOE. Tra gli altri, si riconoscono MacCabe, al centro in prima fila, e Priestley, il secondo da destra in seconda fila (arch. E. Sanders, immagine trasmessa agli autori dal Dr. Peter Pirker) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Anteprima libraria oggi, alle 17.30, in municipio a Clauzetto. Le amministrazioni di Clauzetto e Vito d'Asio propongono la presentazione della ricerca storica "Autunno 1944, Danbury sul Monte Pala". Una fotografia scattata sul Monte Pala nell'autunno del 1944 ha ispirato la ricerca di Enrico Barbina e Jurij Cozianin, sulle tracce di tre agenti ebrei del Soe britannico, paracadutati in Friuli per compiere la loro missione segreta in Austria. Grazie alla consultazione di documenti d'archivio, è stato possibile accertarne l'identità, conoscerne le biografie e il servizio operativo. Ricercatori e articolisti della rivista friulana di cultura "La Panarie", gli autori si sono avvalsi della collaborazione di Peter Pirker, docente dell'università di Vienna. Barbina e Cozianin faranno luce sulla vicenda, mettendosi a disposizione di appassionati e curiosi per approfondire questo avvenimento che coinvolse i nostri territori sul finire del secondo conflitto mondiale.
G.Z., Agenti segreti sul Pala. La storia in una ricerca, Messaggero Veneto, 24 novembre 2018 

Il Douglas C-47 Dakota eretto a monumento nell’area dell’airfield “Piccadilly Hope” di Otok (Metlika), in Slovenia (ph. © kraji.eu) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

È la notte tra il 12 ed il 13 agosto 1944.
Al chiaro di Luna, nel cielo del Friuli vola un aereo decollato da una delle basi pugliesi della Royal Air Force britannica <1. In attesa di lanciarsi con il paracadute ci sono sette uomini, scelti per un’importante missione organizzata a Monopoli, nel quartier generale del SOE <2 in Italia (No. 1 Special Force).
Alcuni di loro appartengono alla Sezione Tedesco-Austriaca (X Section) del servizio segreto di Sua Maestà, diretta da Ronald Thornley <3, costituita già alla fine del 1940 con l’allora ambizioso, se non velleitario, obiettivo di favorire e poi sostenere in Austria un’auspicabile insurrezione nazionale e separatista che determinasse il ripristino dell’indipendenza perduta nella primavera del 1938 con l’annessione al Terzo Reich nazista (Anschluss).
A tal fine, sono stati progressivamente reclutati ed addestrati nelle fila della Sezione diverse decine di esiliati politici, rifugiati e disertori della Wehrmacht. In realtà, rispetto ad un contesto di fatto sconosciuto e probabilmente molto meno favorevole di quanto sperato, le missioni destinate a raggiungere l’Austria dal territorio italiano, con il supporto dei partigiani locali, sono partite solo all’inizio dell’estate del ’44.
Quattro degli uomini a bordo dell’aereo compongono in effetti la missione Rudolf o gruppo Bakersfield: il maggiore Francis <4, l’operatore radio caporale Buttle <5, il tenente tirolese Georgeau <6 e il capo missione, il maggiore Rudolf <7. Il loro compito è di infiltrarsi nelle valli del Gail e della Drava, con l’obiettivo di verificare se ci siano le condizioni per alimentare la Resistenza locale, qualora esista, o favorirne la nascita e l’organizzazione, attraverso lo sviluppo di una rete di corrieri, contatti ed appoggi logistici, da estendersi in direzione di Innsbruck, Lienz, Salisburgo e Villach. Di fatto, essi vanno a rafforzare la missione Beckett <8, già operativa dal 14 giugno ed alla quale si sono aggregati un mese più tardi anche il capitano Pat <9 e l’operatore radio sergente Charles <10.
Gli altri tre agenti costituiscono invece il gruppo Danbury. Indossano la divisa degli ufficiali inferiori britannici ma, in realtà, sono Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine dopo l’ascesa del nazismo e rifugiati nel Regno Unito. Il leader del gruppo è Simon ovvero il sottotenente Otto Karminski, soprannominato “Putzi” <11, austriaco, nato a Vienna il 17 febbraio 1913 [...]
[NOTE]
1. La ricerca degli autori non ha consentito di rintracciare il Record del volo. È probabile che l’aereo fosse un Halifax appartenente ad uno degli squadroni polacchi utilizzati per le missioni segrete Special Duties nel Nord Italia e nei Balcani. Di norma, in quel periodo a tali fini veniva utilizzato l’aeroporto “Campo Casale” di Brindisi. Tuttavia, vista la concomitanza delle numerose missioni effettuate a sostegno della Rivolta di Varsavia, non è escluso che il volo sia stato effettuato a bordo di un Douglas C-47 Dakota del 267 Squadron RAF decollato da Bari.
2. Special Operations Executive, servizio segreto britannico istituito il 22 luglio 1940 per lo svolgimento di operazioni speciali dietro le linee nemiche. Era composto da uomini e donne di provenienza militare e civile.
3. Tenente Colonnello Ronald Howe Thornley (1909-1986).
4. William Francis Dayrell St. Clair Smallwood (1914-1945).
5. Arthur Ernest George Buttle (1924-1975).
6. Hubert Mayr (1913-1945), alias Jean Georgeau ovvero Banks, giovane socialista di Innsbruck, reduce della Guerra Civile Spagnola, catturato dai tedeschi in Tunisia, fuggito da un campo di prigionia italiano, dalla fine del 1943 agente della Sezione Austriaca del SOE. Disperso nel corso della missione nell’inverno 1944/45 e dichiarato morto nel 1945. L’11 febbraio 2011 egli è stato insignito dell’onorificenza postuma “Ehrenzeichen für Verdienste um die Befreiung Österreichs”, per i servizi resi ai fini della Liberazione dell’Austria.
7. George Rudolf Hanbury Fielding (1915-2005), reduce dalla battaglia di Creta e dal Nord Africa tra i ranghi del reggimento di cavalleria “3rd The King’s Own Hussars”. Agente del SOE dal 1944.
8. Altrimenti detta missione Balloonet o gruppo Aunsby. Beckett era il nome in codice del capo missione, il Conte Manfred Czernin (1913-1962), Manfredi per i partigiani friulani. Berlinese di nascita e figlio di un nobile diplomatico austriaco, valoroso Maggiore della RAF nella Battaglia d’Inghilterra, dal 1943 pluridecorato agente del SOE. Venne paracadutato sul Monte Losa, tra Sauris e la Val Pesarina, nella notte tra il 13 ed il 14 giugno 1944, assieme al marconista Piero, il bolognese Piero Cantoni (alias Piero Bruzzone o Boeri).
9. Patrick Martin-Smith (1917-1995), londinese, già ufficiale nei Commandos, dall’aprile del 1944 agente del SOE, in missione in Friuli anche in qualità di British Liaison Officer (BLO), ufficiale di collegamento con le formazioni partigiane.
10. Ernest Charles Roland Barker (1919-1953), del Royal Corps of Signals. Deceduto in servizio, in Malesia.
11. Vezzeggiativo traducibile con “piccolino”.
Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Autunno 1944, Danbury sul Monte Pala, La Panarie 1968-2018: 50° Nuova Serie, 198/267

In questo episodio dedicato alla missione Coolant, destinata al Friuli, ripercorreremo i mesi dal luglio 1944 al settembre dello stesso anno. Il maggiore Hedley Vincent, inviato come capomissione nella zona, organizzò i partigiani locali, divisi tra brigate Garibaldi e Osoppo, per dar battaglia ai nazi-fascisti, mentre ancora tutti nutrivano la speranza che la guerra sarebbe finita di lì a pochi mesi. L'estate fu quindi un periodo molto intenso, in cui i partigiani liberarono una vasta zona sulle Alpi Giulie.  
Redazione, Episodio 43 - Coolant: L'arrivo di Hedley Vincent, Racconti dal nascondiglio, 29 maggio 2021

Questo secondo episodio dedicato alla missione Coolant chiude il capitolo che vide il maggiore Hedely Vincent a dirigerla. I partigiani, che controllavano un territorio piuttosto ampio a nord-est di Udine, furono attaccati con violenza dal nemico nel settembre 1944. La battaglia tra i due schieramenti infuriò per giorni, mentre la situazione diventava sempre più disperata e, contemporaneamente, diventava sempre più chiaro che l'avanzata alleata a sud era stata bloccata e non sarebbe arrivato aiuto per i partigiani.
Redazione, Episodio 44 - Coolant: il grande rastrellamento di settembre 1944, Racconti dal nascondiglio, 5 giugno 2021

In questo episodio seguiremo l'avvicendamento alla guida della missione Coolant tra il maggiore Vincent e il maggiore Macpherson. Questi, reduce da una lunga prigionia in mano nemica, e poi una missione in Francia, fu designato in quanto ufficiale esperto e capace. Tuttavia, le sfide che dovette affrontare furono notevoli: non solo la presenza massiccia di forze nemiche, rinforozate anche da truppe cosacche e croate, ma anche le crescenti tensioni tra sloveni e italiani, che infine esplosero a metà inverno.
Redazione, Episodio 45 - Coolant: l'arrivo di Macpherson, Racconti dal nascondiglio, 12 giugno 2021

In questo episodio affronteremo gli ultimi mesi di attività della missione Coolant in Friuli al comando di Macpherson. A gennaio la situazione è critica, i partigiani sono pochi e i loro nemici numerosi a agguerriti. Tuttavia, questo non fermò la Resistenza che presto si riogranizzò in varie forme, fino alla ricostituzione delle bande nella primavera. La Liberazione, tuttavia, non sarà cosa facile, visto che il Friuli rappresenta una delle direttrici di ritirata dei tedeschi verso la Germania.
Redazione, Episodio 46 - Coolant: La fine della guerra, Racconti dal nascondiglio, 19 giugno 2021

Un container di armi ed esplosivi. Si notano i mitra Sten Mk II, diffusi tra i partigiani friulani - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Le Brigate Osoppo furono formazioni partigiane autonome fondate presso la sede del Seminario Arcivescovile di Udine il 24 dicembre 1943 su iniziativa di volontari di ispirazione laica, liberale, socialista e cattolica, gruppi già attivi dopo l'8 settembre nella Carnia e nel Friuli.
I fini della Osoppo erano cooperare in autonomia con le formazioni garibaldine comuniste e contribuire alla lotta antifascista contro le forze occupanti tedesche. Quest'ultime avevano infatti istituito la Operationszone Adriatisches Küstenland, sottraendo di fatto l'intero territorio del Friuli-Venezia Giulia all'autorità della Repubblica Sociale Italiana ed instaurando un rigido regime di repressione e spogliazione, avvalendosi della partecipazione di reparti di SS etniche, di cosacchi e di forze repubblicane fasciste.
Il raggruppamento ebbe al comando: Candido Grassi (nome di battaglia "Verdi"), Manlio Cencig (nome di battaglia "Mario"), due capitani del Regio Esercito Italiano e don Ascanio De Luca (già cappellano degli Alpini in Montenegro e in quel momento parroco a Colugna, frazione di Tavagnacco).
A causa della complessa situazione politico-militare presente nel territorio friulano e della Venezia Giulia, al centro di opposti nazionalismi e di secolari rivalità etnico-territoriali, le formazioni della Osoppo ebbero rapporti spesso conflittuali con i reparti garibaldini comunisti e furono in contrasto con le forze partigiane sloveno-jugoslave.
Il Gruppo Brigata Osoppo dell'Est, comando unificato con la Divisione Garibaldi Natisone, non accettò di passare a est del fiume Isonzo per mettersi alle dipendenze del IX Corpus sloveno dell'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia di Tito.
Il 22 novembre 1944, il Partito Comunista Italiano (e non il CLNAI, unico comando in grado di impartire legittimamente ordini sull'impiego operativo delle forze partigiane) aveva dato l'ordine ai partigiani italiani della zona di passare alle dipendenze del IX Corpus jugoslavo per favorire la creazione di (secondo le parole di Togliatti in una lettera a Vincenzo Bianco, rappresentante del PCI nel IX Corpus, « una condizione profondamente diversa da quella che esiste nella parte libera dell'Italia. Si creerà insomma una situazione democratica.»
La disposizione era che "tutte le unità italiane della zona [del litorale adriatico friulano] devono operare soltanto sotto il comando del IX Corpo di armata di Tito", aggiungendo che chi avesse rifiutato questo comando sarebbe stato considerato fascista ed imperialista e trattato di conseguenza; il comando delle Brigate Osoppo aveva rigettato la richiesta con il grido paà nostris fogolars (per i nostri focolari).
La dipendenza fu quindi accettata dai circa 3500 partigiani comunisti della divisione Garibaldi-Natisone ma non dagli autonomi della Osoppo, tra i quali militava una ragazza, Elda Turchetti, uccisa e ritenuta successivamente dai comunisti una spia della X MAS ma possibilmente anche un intermediario secondo altre fonti.
Se gli osovani basavano la loro posizione sui principi della difesa degli interessi nazionali, dei quali si sarebbe dovuto discutere solo a guerra finita, anche i garibaldini erano molto dubbiosi viste le posizioni politiche e i metodi autoritari adottate dagli sloveni nei loro territori.
[...] Sin dal luglio 1944 l'OSS (il servizio segreto degli USA che poi diventerà l'attuale CIA, relativo alle operazioni all'estero) aveva avviato in Friuli una propria missione di collegamento con i partigiani, denominata Chicago-Texas. La missione era guidata da due agenti italiani affiliati al PCI, Alfredo Michelagnoli e Giuseppe Gozzer. La missione fu organizzata sulla scorta di un più ampio accordo tra OSS e Partito comunista, che prevedeva l'arruolamento di "uomini esperti" indicati dal partito, in cambio della possibilità, per quest'ultimo, di utilizzare le radio del servizio segreto per comunicare con i propri dirigenti nell'Italia occupata dai nazifascisti.
Gozzer, tuttavia, sebbene alla testa di una missione alleata, divenne presto capo di stato maggiore della Brigata Garibaldi Friuli, generando incertezze tra i membri del SOE (uno dei vari servizi segreti britannici per operazioni dietro le linee nemiche), già operanti in zona, i quali non avevano chiaro quando considerare le sue iniziative come adottate nella sua qualità di rappresentante degli statunitensi, o in quella di comandante partigiano e comunista.
D'altra parte, non esisteva alcun coordinamento specifico tra le missioni OSS e SOE e questo, a prescindere dal differente approccio politico tra statunitensi e britannici, generò "la più completa confusione", arrivando a mettere in concorrenza involontaria le missioni inviate indipendentemente su uno stesso territorio, e generando inefficienza e pericoli indebiti per gli stessi agenti alleati. Inoltre, il diverso approccio delle differenti missioni alleate non forniva ai partigiani una coerente immagine dell'alleanza angloamericana, e rendeva meno efficace la loro azione militare.
Redazione, Brigate Partigiane Osoppo-Friuli, Bella ciao, Milano!

[...] Mentre è ancora in corso la ricerca dei contenitori scesi dal cielo e sparsi nella zona, ad accogliere i sette agenti segreti ci sono Beckett (Manfredi), Pat ed i partigiani dal fazzoletto verde e dal cappello Alpino, ovvero gli uomini della 3ª e 4ª Brigata Osoppo-Friuli, schierate in Val d’Arzino e Val Tramontina. Non sono giorni sereni per loro, dopo l’improvviso attacco tedesco e repubblichino al castello di Pielungo, sede del comando osovano, avvenuto il 19 luglio. La controversa “crisi” politico-militare che ne è derivata, aggravata dalla destituzione e dall’arresto di Verdi <22 ed Aurelio <23 a Rutizza (Tramonti di Mezzo), è ancora in corso. Verrà risolta tra qualche giorno, con la decisiva presa di posizione, in armi, dei più carismatici comandanti dei reparti della 3ª Brigata, la liberazione di entrambi gli “imputati” ed il loro immediato reintegro nelle rispettive funzioni <24.
L’epilogo segnerà il definitivo tramonto di ogni ipotesi di stabilire un Comando Unico tra le formazioni partigiane osovane e quelle garibaldine operanti in zona. In questo complesso contesto, riconosciuto come tale anche dalle missioni alleate, la Resistenza friulana e carnica sta per affrontare i più duri mesi di lotta, non solo contro tedeschi e fascisti, ma anche contro i reparti cosacchi e caucasici affluiti in Carnia ed Alto Friuli, con migliaia di civili e di cavalli al seguito.
Saranno giorni di lutti, sofferenze e sacrifici per tutta la popolazione.
A parte Georgeau, gli altri sei agenti pacadutati si presentano in uniforme britannica, senza abiti borghesi nello zaino e privi di documenti utili da esibire in Austria, in caso di necessità. La volontà di non indossare abiti da civili può essere comprensibile per i componenti di Danbury, in virtù del fatto di essere ebrei ovvero del rischio di essere, se catturati, smascherati e trattati come tali. Il problema in realtà è serio per tutti e condiziona la loro missione. Beckett e Pat ne sono pienamente consapevoli.
In Austria non è consentito ciò che lo è in Italia o in Slovenia, dove gli agenti del SOE operano in divisa tra i partigiani di una Resistenza già organizzata ed in armi. Per il momento a muoversi oltre confine saranno così solo Georgeau e la preziosa guida austriaca Vienna <25, mentre Rudolf e gli altri troveranno una sistemazione in Carnia, scortati da Aurelio e dai partigiani del Battaglione Fedeltà, completando la ricognizione dei passi montani che consentono l’accesso alla valle del Gail, in attesa di ricevere dalla Base Maryland le armi ed i rifornimenti promessi.
Beckett comprende che almeno per ora neppure Danbury può muoversi secondo il piano originario. 

Il Nobel No. 808, l’esplosivo al plastico utilizzato dai partigiani e dal SOE nelle azioni di sabotaggio. Veniva fornito con gli aviolanci o prelevato dalle polveriere presidiate dal nemico - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Nell’attesa, i tre possono rendersi utili in altri modi, innanzitutto istruendo i partigiani della Osoppo sull’utilizzo degli esplosivi e dei timer <26. In particolare, i patrioti della 3ª Brigata, ovvero dei battaglioni Italia-D.D., Giustizia e Libertà hanno già dimostrato di saperne fare buon uso, anche nel giorno dell’attacco al castello di Pielungo, quando hanno bloccato la rientrante colonna nemica tra le gallerie della Strada Regina Margherita, infliggendole notevoli perdite. Non sono neppure mancati i sabotaggi a ponti e viadotti della ferrovia pedemontana e a tratti stradali. Ai primi di ottobre gli uomini del Libertà tenteranno anche l’ardita distruzione del Ponte di Ragogna-Pinzano sul Tagliamento, impedita solo dall’insufficiente quantità dell’esplosivo fatto brillare <27.
 

Gli effetti di un atto di sabotaggio partigiano sulla Ferrovia Pontebbana (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Beckett ha invece in mente di colpire la Pontebbana, certamente un’arteria stradale e ferroviaria molto importante per la Werhmacht. 

Cartolina del vecchio ponte ferroviario di Dogna. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale venne solo parzialmente danneggiato dai bombardamenti aerei alleati - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

A Simon viene così affidata la missione di provare a far saltare il ponte di Dogna, da tempo nel mirino dei partigiani ed in particolare dei guastatori del Battaglione Monte Canin <28, ma la ricognizione effettuata lo convince dell’impossibilità dell’operazione. L’obiettivo è ben presidiato, con molte mitragliatrici e fotoelettriche.
Nella seconda settimana di settembre il gruppo Danbury raggiunge Rudolf all’Albergo Sottocorona di Forni Avoltri, in cui egli si è insediato, proveniente da Liariis (Ovaro) e Priola (Sutrio), sede del comando del battaglione osovano Val But. Lungo la marcia, i quattro partigiani che scortano Simon hanno teso un agguato ad una pattuglia tedesca. Lo scontro è terminato con otto caduti tra i nemici. La partecipazione dell’agente del SOE all’iniziativa altrui viene considerata un’intemperanza dal comando britannico e come tale biasimata.
Aggirando Santo Stefano, presidiata dai tedeschi, la via per il Cadore è ancora libera ed è là che Simon vuole verificare se ci sia la possibilità di entrare in Austria, con l’aiuto delle formazioni partigiane locali. Raggiunta Lorenzago con un paio di guide, incontra così i fazzoletti rossi della Divisione garibaldina Nino Nannetti. Essi si dicono disponibili ad aiutarlo, con l’intento di trasferirsi più a nord-ovest, vicini alla frontiera. Per loro la nuova base potrebbe essere il punto di partenza anche per una requisizione di bestiame oltreconfine.
Al momento Simon cerca di disssuaderli da quest’ultimo proposito e prende tempo, promettendo loro il lancio delle armi e delle scorte di viveri di cui hanno disperato bisogno. Individua infatti la dropping zone, dando disposizioni a Cheyney di presidiarla costantemente e a MacCabe, spostatosi a Forni di Sopra, di mantenere il contatto radio con Monopoli.
I rifornimenti consentirebbero anche di dare il via al piano partigiano, messo a punto da MacCabe ed approvato dalla Base, di liberare Santo Stefano dalla guarnigione tedesca, peraltro progressivamente rinforzata fino a contare ottocento uomini.
Nel frattempo, i lanci promessi e mai ricevuti rimangono la più grave preoccupazione anche per Rudolf, oltre alla mancanza di un operatore radio per Georgeau, in Austria. Le ricognizioni effettuate oltreconfine hanno dato via via motivi di moderato ottimismo rispetto all’obiettivo della missione, pur in un contesto che si è rivelato molto più difficile di quanto la Base aveva previsto o semplicemente sperato. Le prospicienti valli austriache infatti, specie quella del Gail, sono poco abitate, in particolare dai maschi, impegnati al fronte e nell’industria bellica del Terzo Reich. L’atteggiamento di chi è rimasto nei paesi è di apatia se non di terrore, visto il rigido controllo esercitato da anni dalla Gestapo. Non è certo facile trovare uomini e donne disposti ad imbracciare le armi o a fare da staffette. Tuttavia, grazie agli indomiti sforzi di Georgeau e Vienna, una prima rete di complicità, aiuti ed appoggi logistici è stata creata e si estende tra le valli del Gail e della Drava fino a Villgraten, nel Tirolo Orientale. I disertori austriaci e tedeschi tra le fila della Werhmacht vanno inoltre aumentando ed alcuni di loro sono già utilizzati come corrieri. I passi alpini sono ancora praticabili ed in genere non presidiati dal nemico <29.
Con il passare dei giorni e delle settimane, l’attesa dei lanci si fa però così snervante da spingere Rudolf ad inviare un caustico messaggio alla Base in cui, contro la presunta ritrosia dei piloti a volare di notte ed in condizioni meteorologiche non ideali, invoca da loro “more of the spirit of the Battle of Britain and less of the bottle of Bari”.
 

La time pencil (Switch No. 10), dispositivo di innesco dell’esplosivo, ritardato mediante la corrosione controllata di un filo metallico da parte di un liquido contenuto in un’ampolla. Quelle con la safety strip gialla avevano un ritardo di dodici ore - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra


I mancati rifornimenti impediscono anche a Danbury di mantenere la promessa fatta ai partigiani del Cadore e l’unica cosa che Cheyney, soprannominato “Teddy il dinamitardo”, può offrire loro è la somma di 10.100 Lire, consegnata il 26 settembre alla Compagnia Alto Piave della Brigata Calvi. Simon tuttavia non desiste dal proposito di infiltrarsi in Val Pusteria e tentare il sabotaggio del ponte ferroviario sulla Drava a Tassenbach (Strassen) nei pressi di Sillian, come suggerito da “un ufficiale americano” incontrato da MacCabe <30. La zona risulta tuttavia ben sorvegliata dalle pattuglie tedesche, secondo quanto riportato dalla guida mandata in perlustrazione.
Nel suo tentativo, anche Simon s’imbatte infatti nel nemico, sfuggendo per un soffio dalle sue grinfie ed essendo costretto ad abbandonare l’esplosivo.
Lo scenario sta in effetti rapidamente volgendo al peggio e l’8 ottobre scatta la prima fase dell’operazione Waldläufer, la massiccia offensiva nazifascista e cosacca contro la Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli, in cui è stata proclamata la Repubblica partigiana.
Nella notte tra il 12 ed il 13 è previsto il lancio a Tramonti di altri quattro agenti del SOE, tra i quali ci sono anche Turner, il quarto uomo di Danbury, e Priestley <31, l’operatore radio tanto atteso da Rudolf, da affiancare a Georgeau in Austria.
A causa di un errore accidentale del pilota polacco, probabilmente ingannato dalle luci delle caserme, il lancio viene disgraziatamente effettuato sopra Tolmezzo.
Gli uomini atterrano nelle braccia del nemico. Taggart <32 muore, forse suicida, Priestley e Turner vengono catturati <33, l’unico che riesce a fuggire è Hauber <34.
Rudolf è costretto ad abbandonare precipitosamente Forni Avoltri, rastrellata senza pietà il giorno 13, ed a spostarsi a Sauris su cui, lasciato il Cadore, convergono anche i membri di Danbury. Dopo aver atteso a lungo il lancio promesso, il laconico messaggio cifrato “Insufficient cloud cover” trasmesso dalla Base ha infranto ogni loro residua speranza.
Nel frattempo anche Francis e Charles sono stati catturati <35, mentre di Georgeau e Vienna non si hanno più notizie <36.
Nell’emergenza e con una taglia sulla sua testa di 800.000 Lire, Rudolf segnala alla Base un’ulteriore dropping zone, in vista di un ventilato lancio di massa, da ben dieci aerei, di armi e scorte, indispensabili anche per il Fedeltà.
In realtà, la situazione venutasi a creare con l’offensiva nemica e l’acuirsi dell’inverno, con l’impraticabilità dei passi verso l’Austria, ha convinto la Base dell’impossibilità di rifornire adeguatamente gli agenti ed i reparti partigiani che li supportano.
Gli uomini del SOE devono essere progressivamente richiamati.
A giorni, l’annuncio del Proclama Alexander chiarirà le motivazioni della decisione.
Alla fine di ottobre il primo a dover rientrare a Monopoli è Beckett. Il giorno 29 lo preleva un Lysander, atterrato nel campo di Pradileva, un ampio terreno tra Tramonti di Mezzo e Tramonti di Sotto, approntato a tal fine dai fazzoletti verdi del Battaglione Monte Canin nel corso dell’estate. Il giorno seguente giunge in Val Tramontina anche il gruppo Danbury, con Buttle ed il redivivo Hauber. Su ordine di Rudolf attendono di ricevere finalmente un lancio, benchè non così abbondante come a lungo vanamente sperato.
Nel corso della loro marcia, c’è stato il tempo per scattare una fotografia assieme ad alcuni partigiani, davanti alla sede del comando del Battaglione Italia-D.D., nel pianoro del Monte Pala <37, ad Anduins di Vito d’Asio. È il primo reparto in armi della Osoppo, formato a partire dal 25 marzo del ’44, il giorno in cui un manipolo di patrioti è salito in Palamajȏr <38, alle pendici del Monte Rossa <39. 

Il comandante Goi sul Monte Pala nel 1944 (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Intitolato a Renato Del Din Anselmo <40, dopo la sua morte nell’attacco alla caserma della Milizia fascista di Tolmezzo, il battaglione è agli ordini di Goi <41, il suo rude e carismatico comandante. Coraggioso e di gran cuore. Temprato dai cinque avventurosi anni trascorsi a Sidi Bel Abbes, in Algeria, tra i ranghi della Legione Straniera, e dai duri giorni in Croazia in qualità di Sergente Maggiore del 2º Reggimento di Fanteria “Re”, si è guadagnato il rispetto, la fiducia e l’affetto dei suoi uomini. Tali rimarranno anche a guerra finita.
Il 6 novembre sono a Tramonti anche Rudolf e gli uomini del Fedeltà, degni del nome del proprio reparto. La loro discesa dalla Carnia è stata a dir poco avventurosa, resa molto complicata e rischiosa dal dover percorrere i sentieri innevati di alta montagna, cercando di evitare le vallate occupate dal nemico.
La marcia ha comportato la perdita dei muli e nel corso di uno scontro a fuoco a Luint (Ovaro) Rudolf è stato ferito ad un braccio <42. I suoi rapporti con il maggiore Nicholson <43, il nuovo British Liaison Officer in Val Tramontina, sono piuttosto tesi, a causa della non facile convivenza operativa e delle rispettive rivendicazioni sui lanci di armi, equipaggiamenti e scorte. Nicholson sfoga la sua insofferenza in un messaggio alla Base, nel quale definisce “inutili, indisciplinati e senza guida” gli elementi austro-inglesi della X Section, accusandoli di interferire nella sua attività quotidiana e chiedendone l’allontanamento.
Vorrebbe trattenere al suo servizio solo MacCabe, anche per il fatto che sa parlare l’italiano <44. Quanto alle missioni di sabotaggio, egli suggerisce alla Base la formazione di un gruppo di sciatori cadorini, da affidare a Prior <45.
Dopo la ricezione del lancio atteso da Rudolf, l’8 novembre a partire sono così tutti i membri di Danbury ed Hauber, assieme ad una dozzina di ex prigionieri alleati ed aviatori statunitensi <46. 

Vista sul Tagliamento dal Monte di Ragogna. Al centro l’isolotto del Clapàt ed i due tronconi del ponte stradale e ferroviario di Cornino-Cimano (ph. © J. Cozianin) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

La loro marcia verso la Slovenia inizia in una notte tempestosa con l’attraversamento del Tagliamento, poco a valle del ponte ferroviario di Cornino-Cimano, sorvegliato dal nemico. Con loro ci sono alcune guide partigiane oltre ad Aurelio e Goi. Come sempre, è necessario togliersi gli scarponi, i calzettoni ed i pantaloni. Il guado dei bracci del fiume e del suo infido greto di ciottoli e pietre non è certo dei più semplici, se le sue fredde acque sono gonfiate dalle piogge autunnali, se non si conosce l’ostacolo e non si ascoltano i saggi consigli di chi, invece, ne ha ormai scoperto ogni segreto. Deve essere così, se il piccolo Simon per ben due volte viene trascinato via dalla corrente e “ripescato” in extremis da Goi, “a suon di moccoli” <47. Il suo zaino è inzuppato e molto del contenuto è andato perso. Costretto a fermarsi a riva, tra i tuoni egli fa solo in tempo a gridare a Cheyney e MacCabe di proseguire, con l’obiettivo di ricongiungersi presso la missione Coolant del maggiore Macpherson <48, paracadutato sul Monte Joanaz nella notte tra il 4 ed il 5 novembre ed acquartierato nelle malghe di Porzûs (Topli Uorch), presso il comando osovano di Bolla <49.
Esausto, Simon ritorna sui suoi passi e ripara in un fienile, ospite di un generoso contadino. La notte successiva riesce finalmente a guadare il fiume, aggrappandosi alla coda del cavallo montato da un partigiano. Nel frattempo, Cheyney e MacCabe, senza più guida e con il conforto della sola bussola, trovano rifugio nella prima casa isolata incontrata nel loro cammino. Una donna li accoglie benevolmente, dicendo loro di avere un nipote partigiano. Pochi minuti dopo una pattuglia tedesca si avvicina all’abitazione. Gli agenti del SOE attendono con le pistole in pugno che la porta si spalanchi da un momento all’altro. Non è così, il nemico si allontana e la loro marcia può proseguire. La via verso la Slovenia prevede l’attraversamento della Pontebbana poco più a Nord di Tricesimo e, oltre Nimis, la risalita del sentiero che da Porzȗs conduce al Monte Carnizza ed alle malghe in cui si è installata la missione Coolant.
È lì che il gruppo Danbury si ricongiunge.
Dopo l’attraversamento dell’Isonzo e l’ingresso in territorio sloveno, di norma le guide partigiane jugoslave conducono a Čepovan e poi alla sede del quartier generale del IX Korpus e della missione britannica Crayon. Di certo, scavalcata la ferrovia Trieste-Lubiana, la lunga marcia verso la Bela Krajina consente al gruppo Danbury e ad Hauber, il 3 dicembre 1944, di raggiungere Črnomelj, ovvero il quartier generale dei partigiani sloveni (Glavni Štab Slovenije) e la missione Flotsam di cui sono responsabili il Tenente Colonnello Peter Moore <50 ed il Maggiore Owen Reed <51. Entrambi operano in Jugoslavia per il SOE fin dall’autunno del 1943. Tra Črnomelj e Metlika ci sono alcuni airfields <52 molto utilizzati dagli Alleati per evacuare gli agenti segreti, gli ex prigionieri, gli equipaggi dei bombardieri abbattuti ed i partigiani feriti. Tuttavia, a causa del protrarsi delle avverse condizioni meteorologiche, i componenti di Danbury ed Hauber non possono salire a bordo di un aereo come previsto ma devono proseguire la loro marcia, diretti alla missione Fungus presso il quartier generale dei partigiani croati (Glavni Štab Hrvatske), nell’area tra Glina e Topusko. Attraversato il fiume Kupa (Kolpa) da Stari Trg, s’inoltrano infatti nella regione montuosa del Gorski Kotar, oltre Brod Moravice e Skrad. La zona è ancora parzialmente tenuta dagli Ustaša <53 ed il suo passaggio non è privo di rischi. Le successive marce, ognuna in media di 25 chilometri al giorno, conducono infatti gli agenti del SOE molto più a Sud, attraverso la Lika.
Spostandosi lungo la catena del Velebit raggiungono Knin, liberata ai primi di dicembre del ’44. Da là un camion li porta a Spalato. È certo che il 22 dicembre si trovano sull’isola di Vis (Lissa), dalla scorsa estate sede del quartier generale di Tito e di una base aerea alleata, oltre che strategico approdo per le numerose imbarcazioni della flotta partigiana jugoslava.
Tuttavia essi rientrano a Spalato e l’8 gennaio 1945 salpano a bordo del piroscafo Ljubljana <54, già ampiamente utilizzato per il trasferimento degli uomini delle Brigate d’Oltremare (Prekomorske Brigade) dalle coste pugliesi alle isole dalmate nei primi mesi del 1944. Il giorno dopo sbarcano a Bari e rientrano alla Base. Un paio di settimane prima vi hanno fatto ritorno anche Rudolf, Pat, Buttle e Brenner, <55 prelevati a Črnomelj da un Douglas C-47 Dakota. 


Uno scorcio della piana di Pradileva (Tramonti di Sotto), utilizzata dalla RAF britannica come dropping zone e landing strip per i Lysander (ph. © J. Cozianin) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Avevano lasciato Tramonti alla fine di novembre del ’44, nei giorni dell’ultimo grande rastrellamento nemico <56.
I membri di Danbury non parteciperanno ad altre missioni, rimanendo a Monopoli, prima del trasferimento a Siena del quartier generale del SOE. [...]
[NOTE]
22. Il prof. Candido Grassi (1910-1969), udinese, insegnante e pittore, capitano dei Bersaglieri reduce dal fronte jugoslavo. Fu tra i fondatori della Osoppo, di cui fu di fatto il comandante militare.
23. Don Ascanio De Luca (1912-1990), di Treppo Grande, già cappellano degli Alpini in Montenegro ed allora parroco di Colugna (Tavagnacco), tra i fondatori della Osoppo ed una delle sue personalità di maggior rilievo.
24. Gurisatti 2003.
25. Georg Dereatti (1898-?), di Villach, ferroviere, socialdemocratico. Scomparso nel corso della missione.
26. Gurisatti 2003, pag. 175.
27. Brezzaro 1998.
28. Reparto autore di numerosi atti di sabotaggio (Archivio Osoppo della Resistenza nel Friuli, V 7).
29. Martin-Smith 1991.
30. Con ragionevole certezza si tratta di Roderick Stephen “Steve” Goodspeed Hall (1915-1945), geniere, capitano dell’OSS (Office of Strategic Services), paracadutato sul Monte Pala nella notte tra il 1º e il 2 agosto 1944 con la missione Mercury Eagle, operativo in Carnia (Ovasta) e in Cadore. Catturato a Cortina, venne torturato ed impiccato dalle SS naziste a Bolzano il 20 febbraio 1945.
31. Michael Peter Priestley è l’ebreo viennese Egon Lindenbaum (1920-1976).
32. William Taggart è in realtà il viennese Wolfgang Treichl (1915-1945).
33. Interrogati nel quartier generale della Gestapo a Trieste ed incarcerati al Coroneo. Trasferiti in treno a Vienna nel gennaio del 1945. Prigionieri nello Stalag XVII A di Kaisersteinbruch e poi nell’Oflag 79 di Querum (Braunschweig), liberato dalle truppe statunitensi il 12 aprile 1945. Vedi nota 19.
34. Richard Hauber è il tirolese Nikolaus Huetz (1922-2014).
35. Interrogati, frustati ed incarcerati a Trieste. Francis verrà trasferito a Kaisersteinbruch e Querum. Charles rimase a Kaisersteinbruch. Alla liberazione del campo da parte dei sovietici, fuggì nell’ungherese Debrecen e da là, in aereo, rientrò a Bari a metà aprile del 1945.
36. In un suo recente articolo, frutto di accurate ricerche condotte assieme a Ivo Jevnikar, il Dr. Pirker sostiene che essi e Rudolf Moser Henry, guida austriaca del SOE, siano stati catturati, interrogati ed assassinati dall’OZNA jugoslava a Gorenja Trebuša (Tolmino). Lasciata l’Austria per sfuggire alla Gestapo, essi cercavano di raggiungere le missioni britanniche in Slovenia. Vedi www.aegide.at/files/files/spec%20140418%20-%20seite%20III.pdf.
37. Monte Pala (1.231 metri).
38. Marson 2018.
39. Il Monte Taîet (1.369 metri) ne è di fatto la sommità. I sentieri e le malghe del Monte Rossa furono particolarmente utilizzati dai partigiani della Val d’Arzino e della Val Tramontina nel corso dei rastrellamenti nazifascisti e cosacchi per evitare l’accerchiamento dei reparti ed assicurane l’ordinato ripiegamento ed il trasferimento in altra posizione.
40. Renato Del Din (1922-1944), mortalmente ferito a Tolmezzo il 25 Aprile 1944, Medaglia d’Oro al Valor Militare.
41. Rainiero Persello (1912-1998), originario di Farla (Majano), Medaglia d’Argento al Valor Militare.
42. Martin-Smith 1991.
43. Thomas “Tom” Ivan Roworth (1911-?), dei Royal Engineers, paracadutato sul Monte Joanaz il 20 settembre 1944, a capo della missione Bergenfield.
44. Radiomessaggi di Nicholson alla Base - Archivio Osoppo della Resistenza nel Friuli, V 17.
45. Capitano Michael William Leathes Prior (1910-1978), responsabile della sottomissione Big Bug, alle dipendenze di Nicholson.
46. La parziale ricostruzione dell’itinerario di marcia attraverso il Friuli, la Slovenia e la Croazia si basa in particolare sul Report redatto da Simon a fine missione, sulla testimonianza di Hauber raccolta dal Dr. Pirker nel 2003, sui Weekly Situation Reports della Base Maryland e in Martin-Smith 1991.
47. Gurisatti 2003.
48. Sir Ronald Thomas “Tommy” Stewart Macpherson (1920-2014), scozzese, già nei Queen’s Own Cameron Highlanders e nei Commandos. Jedburgh del SOE, si distinse nelle missioni in Francia e Friuli, diventando uno dei più decorati militari britannici della Seconda Guerra Mondiale.
49. Francesco De Gregori (1910-1945), già capitano degli Alpini, vittima dell’eccidio di Porzûs (7 febbraio 1945), Medaglia d’Oro al Valor Militare.
50. Peter Neil Martin Moore (1911-1992), dei Royal Engineers, reduce di El Alamein. Paracadutato in Jugoslavia nel settembre del 1943, operò in Bosnia, Croazia e Slovenia, incontrando più volte Tito e Kardelj. Vedi la sua Oral history: www.iwm.org.uk/collections/item/object/80011631 Imperial War Museum, London.
51. Owen Perceval Elrington Reed (1910-1997), con il Royal Tank Regiment in Egitto. Venne paracadutato in Jugoslavia nell’Ottobre del 1943, operando a lungo in Croazia e poi in Istria e Slovenia.
52. In particolare quelli di Griblje, Otok (“Piccadilly Hope”), Krasinec (“Piccadilly Hope A”) e Prilozje.
53. Nazionalisti croati, alleati dell’Italia fascista e della Germania nazista, con a capo Ante Pavelić (1889-1959), Poglavnik dell’allora Stato Indipendente di Croazia (Nezavisna Država Hrvatska).
54. Varato nel 1904 come piroscafo Salona, requisito dalla Regia Marina italiana nel 1941 ed utilizzato come incrociatore ausiliario Lubiana in missioni di scorta nell’Adriatico fino all’8 settembre 1943. Diventata nave da trasporto della flotta partigiana jugoslava, affondò il 14 maggio 1945 nella Baia di Buccari (Bakar) a causa di una mina magnetica. Vi perirono il comandante cap. Ljubomir Dorčić, tredici membri dell’equipaggio e tre passeggeri.
55. Alois Bilisics (1913-1971), austriaco di origini croato-ungheresi, l’ulteriore operatore radio per Rudolf, paracadutato in Val Tramontina nella notte tra il 16 ed il 17 novembre 1944.
56. Dopo la sosta presso la missione Coolant, il loro itinerario di marcia ha toccato Pulfero, Savogna, Stregna, Liga, Kanal ob Soči, Kanalski Vrk, Lokovec, Čepovan, la Selva di Tarnova, il Turški Klanec, Predmeja, Ajdovščina, Planina, Vipava, Bukovje, Postojna e la valle del fiume Kupa, prima di raggiungere Črnomelj.
Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit.