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domenica 21 febbraio 2021

U Badin



È una medaglia simbolica quella che, scrivendo questo romanzo [Prima che le pagine ingialliscano, Alzani, 2018], ho voluto assegnare a "Vincé u Badin", raccontando alcuni episodi della sua straordinaria vita.
Una storia, spesso buia e travagliata, che, pur avendo come fondo la guerra del 1915-18, non può essere considerata soltanto una storia di guerra. La guerra, quella più atroce, infatti, è sullo sfondo, mentre il racconto è piuttosto lontano dalle trincee e più vicino alla gente comune.
Prima di tutto debbo dire che Badin, classe 1897, non era un eroe. Il primo a non essersi mai sentito tale è stato proprio lui. Molti fra coloro che mai avevano conosciuto la sua impresa, compiuta suo malgrado durante la Grande Guerra, lo hanno sempre considerato niente di più di un simpatico "ruba galline", cui era facile addebitare qualsiasi malefatta fosse successa in paese. Non avendo lui stesso quasi mai parlato con nessuno della sua impresa, pochi sono stati quelli che ne sono venuti a conoscenza. Peccato, perché lui, forse più di tanti altri, una medaglia al valore l’avrebbe comunque meritata.
Badin era uno di quei tanti immigrati veneti, che dopo la fine della seconda guerra mondiale era approdato a Coldirodi [Frazione di Sanremo (IM)], come migliaia di altri, in prevalenza abruzzesi, ma anche tanti calabresi, piemontesi, siciliani ed appunto veneti, attirati dal lavoro nell’edilizia o nella floricoltura, attività che erano andate sempre più sviluppandosi in quegli anni. Come molti era approdato in Liguria portandosi dietro, stipate nel cervello, nostalgie di amori vissuti, di amori sognati, di amori finiti.
Avvicinandosi l’anniversario della fine della prima guerra mondiale, mi sono tornati alla mente tanti suoi racconti e più volte mi sono domandato se questi fossero attendibili. Se, insomma, "U Badin" fosse stato davvero il  protagonista di una impresa per quei tempi assolutamente memorabile, oppure se fosse soltanto frutto della sua vivace fantasia.
Nessuno, forse, oggi si ricorda ancora di lui.
Recentemente, sfogliando una rivista stampata per ricordare gli abitanti di Coldirodi distintisi nel secolo scorso, mi sono imbattuto nel suo nome.
Ecco cosa ho trovato scritto: "… le Bigin, le Catì,… i Bacì e gli Antò,… persone semplici, simboli di un mondo che non c’è più ma che hanno vissuto la storia del nostro paese, attraverso miseria, guerra e fame, con dignità, generosità ed onestà. Da persone vere!".
"Vincè u Badin" era una di quelle: allampanato, solitario, taciturno, trascorreva i suoi giorni con frequenti trasferte in Francia, attraverso i boschi della frontiera, contrabbandando accendini, sigarette, cioccolata e talvolta anche tabacco. L’esiguità dei guadagni lo costringeva a dover arrotondare gli incassi "onesti", svuotando qualche volta qualche pollaio.
La consuetudine era tale, per cui ogni volta che un contadino avvertiva la mancanza anche di un solo bipede, la conclusione più comoda era sempre una sola: "È stato Badin!"
Una volta però i derubati dovettero ricredersi. Badin era incolpevole in quanto aveva un alibi di ferro. Proprio in quei giorni, infatti, U Badin era ospitato nella prigione Santa Tecla di Sanremo.
Nient’altro. Nessun accenno al suo passato militare. Neanche una parola.
Con il mio romanzo ho inteso raccontarne le vicissitudini, quasi a volerlo risarcire per tutte le amarezze, tutti i torti e tutte le ingiustizie subite, a mia volta affascinato dalla sua storia d’amore che altrimenti, come milioni di altre, sarebbe finita nell’oblio.
In cosa è consistita la sua impresa?
Badin, fra i quattro milioni di soldati italiani che si sono avvicendati al fronte durante la Grande Guerra, è stato quasi certamente uno dei primi cinque paracadutisti ad essere impiegato a livello pionieristico oltre le linee nemiche, senza peraltro che questo possa essere provato. Ma neppure smentito. Il suo nome, almeno nei documenti ufficiali, non compare mai. Come non fosse mai esistito: scomparso. Come mai, mi sono chiesto più volte? Le azioni militari in cui furono impiegati i primi incursori muniti di paracadute, risultano siano state cinque in tutto. Mentre i nomi dei protagonisti ufficialmente riconosciuti sono soltanto quattro. Qual è il nome del quinto? Per quale motivo il suo nome non compare mai?
Sono personalmente convinto che sia stato proprio Badin il soldato protagonista del mio libro. Coincidono troppe cose. Troppe verità non sono mai potute venire alla luce. Ma d’altronde come avrebbe Badin potuto conoscere certi particolari senza avervi partecipato?
Badin scanzonato e poco incline ad autocelebrarsi soleva dire: "… ma ci pensate ragazzi… Se invece di atterrare dolcemente ci avessi lasciato le palle, sarei diventato famoso come Francesco Baracca o Enrico Toti…".
Questo è il Vincenzo "U Badin" che ho voluto raccontare in questo libro.
La sua prima giovinezza, l’impresa militare, i suoi contrastati amori: il tutto senza alcuna retorica. La storia, insomma, di un piccolo soldato nella Grande Guerra.
Dantilio Bruno di Sanremo (IM)
[Altri libri di Dantilio Bruno: La donna che leggeva Grand Hotel, Antea Edizioni, 2014; Non sempre azzurro è il cielo. Dalla primavera d'Italia alla primavera di Praga, tipografia Bellugi, Vallecrosia  (IM), 2009]