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venerdì 29 ottobre 2010

Roland Eagle


I fumetti sono sempre sulla cresta dell'onda. Anzi, si dice comics, mi pare. E' un bene, a mio avviso. Anniversario, 60°, dei Peanuts. Numero 600 di Tex Willer. Recenti rassegne. Prossime rassegne. In Italia. Chissà nel mondo. Si dice anche graphic novels e fumetti d'arte. No, questi tanti anni fa non c'erano. O erano minoritari e misconosciuti. Un po' li conosco. Ho letto, ma non assiduamente, Linus sin dagli inizi. Ma vorrei parlare di fumetti d'avventura scomparsi tanti anni fa. A me molto cari. Ma, forse, anche significativi di come é cresciuto il Paese. Come l"intrepido".
Premetto che oggi, a parte qualche buon tratto di pennino, farebbero sorridere. Mi affido alla memoria. Un po' per abitudine. Un po' giocoforza. Una breve ricerca su Internet mi ha confuso le idee. Io cercavo qualche immagine d'epoca. Qualcosa ho trovato, ma ho preferito usare un  qualcosa che infine ho recuperato tramite l'amico Bruno Calatroni, collezionista di Vallecrosia (IM). Ma il cambio di marcia dei periodici in questione mi sembra avvenuto ben prima.
 
Andando con un po' d'ordine. Visto che ho titolato questo post Roland Eagle. Che compariva nel citato "intrepido".
Roland Eagle era un giovane capitano di un veliero, anche a motore, che incappa in tante avventure nei Mari del Sud, ma in epoca contemporanea. Si potrebbe dire che gli autori gli hanno fatto prevedere in anticipo sui tempi le odierne scorrerie dei pirati di Malaysia ed Indonesia. Una storia (da me letta a singhiozzo, come quasi tutte le altre, come dirò dopo) mette addirittura in pista un giovane italiano (ricordo il cognome, Bragadin, e qui penso che la fantasia di chi scriveva non si fosse sprecata, visto che così si chiamavano illustri personaggi della Serenissima e l'ultimo difensore veneziano di Cipro) alla ricerca del padre che nella seconda guerra mondiale, nel fuoco della quale era scomparso, era stato comandante di un sommergibile.

Altri personaggi che ricordo bene erano Buffalo Bill, a lungo il mio preferito, Liberty Kid, altro eroe statunitense dell'Ottocento, il principe indiano Chiomadoro, che combatte anche contro i giapponesi nel secondo conflitto globale, ed un altro principe esotico che subito non mi piaceva molto. Comparivano tutti in storie a puntate de l"intrepido".

Qui la cosa si complica. Su Internet si dice che più o meno tutti questi eroi comparvero nel 1950. E su questo non ho titoli per discutere. Ma anche che la rivista cambiò di nuovo formato nel 1963, lasciando un po' di confusione sul fatto della scomparsa di quei personaggi.

Prendo nota che l"intrepido" ha avuto grande diffusione negli anni '90. Qualcosa avevo pur capito. Ma l'impatto che aveva avuto a metà anni '50, per lo meno nell'ambiente che io posso ricordare, fu veramente straordinario. Lo leggevano grandi e piccini. Lo si passava di mano in mano. E fu così che ne lessi (anzi, subito, a quattro anni, ne guardavo già le immagini) inizialmente un bel po'. Era forse un modo per tanta gente per avvicinarsi alla cultura. Già allora si diceva ai bambini di lasciare perdere i fumetti, specie quelli di guerra. E con Sordi in "Un americano a Roma" si era già vista (io lo seppi dopo, però) la satira anche sugli effetti dei fumetti (e/o di certo cinema) sulle menti deboli. Solo che mi sembra troppo facile obiettare che ci sono molti più "spostati" oggi rispetto a quell'epoca. E che un autore insigne come Umberto Eco abbia speso parole notevoli a difesa del fumetto, per lo meno di quello subito antesignano di quello di cui sto parlando io.

Sì, perché c'é tutta una storia su l"intrepido", fondato in era fascista nel 1930, allorquando ben presto su input di quel regime i fumetti d'importazione americana dovettero in fretta e furia italianizzare nomi e trame. Come per i celebri Cino e Franco (della Casa Nerbini). Alla faccia del copyright. E dello spessore delle storie. Con questo, però, sono entrato in un altro campo, affascinante, sì, ma su cui esistono molte pubblicazioni.

La mia é, invero, una rievocazione sul filo di una indistinta nostalgia. Vorrei aggiungere che cugini de l"intrepido" nella stessa Casa Editrice Universo nel periodo cui faccio riferimento io erano "Il Monello", edito sino al 1990, e "Albo dell'Intrepido", uscito, se non erro, abbastanza presto di scena. Mi interessa come aspetto singolare l'ultimo appena citato, specializzato in storie complete, in genere di guerra, ad uscita settimanale. E fu così che a metà anni '50 molti ragazzini e bambini italiani vennero a conoscere storie di soldati giapponesi nelle giungle, che non sapevano che il conflitto era già finito! Su "Il Monello" vorrei solo ricordare il cowboy Rocky Ryder. Su tutti e tre comparivano, inoltre, di solito nella quarta di copertina brevi strip comiche, anche importanti, quali "Pedrito El Drito", di cui sono riuscito a reperire di recente un reprint, "La piccola Zoe", "Tarzanetto": non ricordo, però, in quale ordine.

L"intrepido" mi entrò in casa in modo casuale e sporadico. Al pari di Topolino, che é tutt'altra vicenda. Ebbi la possibilità di vederne (data l'età), prima, e, presto, di leggerne tanti. Non ricordo se richiesi in famiglia di poter leggere con costanza una copia settimanale tutta mia. Probabilmente sì, con esito negativo per le supreme ragioni di dover leggere "Il Corriere dei Piccoli", periodico che rammento con molto piacere e molto importante; ma i bambini, si sa, sono esigenti. E fu così che di molte storie (de l"intrepido"), le quali erano a puntate, o non ho visto le conclusioni o mi sono perso gran parte delle trame. Perché le mie letture dei fumetti erano soprattutto affidate ai prestiti di tanti compagni di giochi, soprattutto di quelli che incontravo quando mi recavo dalla nonna materna a Bordighera (IM). Poi l'Albo andò a sparire e l"'intrepido" cambiò natura. Lo guardai ancora un po', poi persi interesse.

Erano già gli anni de "Il grande Blek" e di "Capitan Miki", tuttora "vivi e vegeti", ma che adesso trovo di una ingenuità colossale. All'epoca furono importanti anche loro. Al pari di altri. Tutti scomparsi. Come Pecos Bill. O Kinowa. Sempre parlando di western. Forse il grande cinema americano di genere ispirava al meglio i loro autori. Come fu per Tex. Per il quale il debito d'origine verso i film di John Ford viene riconosciuto. Che a metà anni '50 conoscevamo. Ed apprezzavamo. Ma che costava più caro degli altri. Anche nella versione originaria a strisce. Come di recente ha riconosciuto Sergio Bonelli. Per cui non si leggeva molto. E poi i fumetti comici, che forse risentivano di tanto cinema italiano, Cucciolo, Tiramolla. Qualche tempo fa ancora presenti. Ed altri di derivazione, credo, americana, come Picchiarello.

In tanti, insomma, ci siamo cresciuti con quei fumetti. E non ce pentiamo affatto. Io, poi, che prediligevo quel Buffalo Bill, che nella memoria rivedo oggi reazionario come nella realtà storica, tenevo d'istinto per gli indiani anche nei giochi dell'infanzia. Crediamo di essere cresciuti bene. Solo che non é rimasta quasi traccia di quei fumetti. O non ho cercato abbastanza. Tante volte passando in Via Washington a Milano, dove, in uno slargo, ha sede la Casa Universo, ho avuto la tentazione di tentazione di andare a vedere un po', ma mi ha trattenuto il pudore dell'adulto. C'é poco anche in termini di antiquariato, se ricordo bene. Che comunque dovrebbe avere un costo non indifferente. Agli albori dei Comics a Lucca, mi sembra di ricordare, un insigne collezionista mi disse che erano altri i fumetti ricercati. E ci credo. Quelli anteguerra. E quelli subito dopo la guerra. Comunque. Si ristampa di tutto, a prezzo più o meno accessibile, in Italia. Ma alcuni di quei fumetti, no. Forse ci hanno provato più di venti anni fa: trovai, infatti, una copia in reprint in inserto a qualcos'altro. Poi, basta. A me per lungo tempo - avendo subito sui miei vent'anni in un trasloco, che mi vide assente, la perdita dei fumetti che a campione ero riuscito  conservare - sarebbe stato sufficiente rivederne qualche copia per capire meglio cosa mi entusiasmasse: per mia fortuna, infine, ci sono riuscito e trovo confermate in larga misura tutte le impressioni che sin qui ho dichiarato.



domenica 24 ottobre 2010

Ventimiglia Alta



Volendomi documentare di persona, come attesto in chiusura di questo post, su certi mutamenti di ambiente della mia città natale, Ventimiglia (IM), mi sono venute in mente delle riflessioni sul Centro Storico, comunemente chiamato Ventimiglia Alta o Città Vecchia: ne avrei prima o poi parlato, ma previa attenta ponderazione, perché, pur avendo colà vissuto pochi, ma importanti anni, l'argomento merita meditata attenzione, pena lo scivolare in ininfluenti memorie personali.
Forse, prima di continuare, é meglio che aggiunga, per chi al confine marittimo con la Francia non c'é mai stato, che questo borgo medievale sorge su di una sorta di promontorio, chiuso su di un lato lungo dal mare, su uno corto e sull'altro lungo dal fiume Roja, al termine del circuito da colline: come cerco di effigiare parzialmente con le fotografie che qui dispongo, che ne faranno grosso modo il giro del perimetro a partire da ponente.

Il motivo che mi trattiene in oggi dal parlare diffusamente di Ventimiglia Alta nella sua preziosa traiettoria storica é che si tratta del contenitore di importanti e significativi monumenti, quali la Cattedrale, il Battistero, la Chiesa di San Michele e tanti altri ancora: materia che merita deciso approfondimento e forte competenza, a prescindere dal fatto che esistono in merito pubblicazioni specializzate e non. Potrei aggiungere, alla vigilia del 150° dell'Unità d'Italia, che nel Forte dell'Annunziata prestò servizio il giovane tenente d'artiglieria Camillo Benso di Cavour e che esiste lassù la Fondazione "Giuseppe Biancheri", dal nome del parlamentare che, come avevo già sottolineato in un altro articolo, aveva avuto un certo ruolo durante e successivamente il Risorgimento.


No, le riflessioni che mi sono venute in mente sono altre, più di carattere generale. Riguardano la composizione sociale dei centri storici in genere. In particolare questo che mi é alquanto caro. Non ne sono del tutto sicuro, ma a Ventimiglia Alta, finita la guerra, con le devastazioni che c'erano state (questa mattina ho visto ancora i segni delle schegge su un palazzo situato in un bel piazzale, la storica Marina San Giuseppe, poco a sinistra della passerella dell'ultima fotografia qui sopra) e con conseguente penuria di alloggi, tornarono od andarono ad abitare molte famiglie. Così la mia famiglia, così tante mie "storiche" conoscenze.



E questo, che ho appena esposto, é il fattore al quale non avevo mai pensato; che mi ha fornito lo spunto per questo post. Mi viene da aggiungere, tuttavia, altre considerazioni.
Nel frattempo, come é noto, in Italia iniziava l'espulsione degli abitanti dei ceti popolari dai centri storici, con rare eccezioni (una per tutte, ma parziale, Genova) delle maggiori città, diventati appetibili alle speculazioni immobiliari: un fenomeno da lungo tempo irrefrenabile.


Ventimiglia Alta, no, andava in controtendenza.  E sin qui probabilmente, trattandosi di un centro, di una città, di una zona piccole, non poteva che essere così. Il fatto é che c'é stato un fenomeno più ampio e delicato. Dalla fine anni '50 era diventata, con le rare, debite eccezioni, specie per certi palazzi affacciati sul mare, una sorta di ghetto, via via popolato da immigrazione interna italiana: quella ormai in genere molto dimenticata, lassù anche quando più di recente é arrivato un altro flusso esterno che, forse non a caso ha già scatenato, benché sporadici, veri e propri raid razzistici.

Si sostiene adesso negli ambienti "informati" che con la costruzione del porto (si veda qui sopra) le cose cambieranno in meglio, perché con gli opportuni collegamenti da realizzare con la finitima città vecchia in questa saranno incentivate nuove residenze, residenze turistiche soprattutto. Se così sarà, sarà altrettanto difficile realizzare una felice convivenza con ragionevoli, diffuse esigenze abitative. Può darsi che il mio sia pessimismo d'ufficio, mentre di recente si sono inoltre compiuti altri diversi atti per animare il borgo antico: i precedenti italiani e locali dicono il contrario.

Intanto, la zona dell'erigendo porto, gli Scoglietti, tanti anni fa era come si vede nella fotografia qui sopra. E il sottoscritto fu tra quelli, quando aveva veste pubblica, che sostenevano di realizzare approdi in altre parti del territorio. Lì, agli Scoglietti, l'incuria dell'uomo a danno delle ormai sparite calanche ed un primo tentativo di fare un porto avevano già alquanto compromesso l'ambiente. Ma rimaneva pur sempre un bell'accesso alla spiaggia delle Calandre, posizionata, ancorché essa medesima ristrettasi nel tempo e forse ancor più destinata a sparire per le correnti spostate dai manufatti edilizi, dietro la punta di sinistra nell'immagine, la Punta della Rocca.
Ventimiglia: spiaggia delle Calandre
E con il porto turistico messo più a levante, in zona a minor impatto ambientale, ci sarebbero stati investimenti per Ventimiglia Alta? In questo modo obiettano in tanti. Non mi sembra, anche se ormai é piangere sul latte versato, un bel ragionamento...


mercoledì 20 ottobre 2010

Milano, ancora

Milano - Santa Maria delle Grazie
Ho scritto qualcosa in un vecchio post in riferimento a Milano, nel senso di un intreccio tra ricordi personali e la constatazione di un geometrico venir meno di tanta pregressa bonomia popolare, ma mi erano rimaste sospese delle impressioni minimali che, alla luce di varie considerazioni rinvenute in vari blog, mi sembra possano uscire da una sfera privata per acquisire un minimo di valore generale.

Dal canto mio, si tratta della constatazione dell'esistenza di angoli non molto conosciuti di quella grande città, meritevoli, al pari di tanti analoghi scorci diffusi ovunque, anche dietro l'angolo di casa propria, di una rivisitazione più attenta: all'insegna di una sana curiosità, sempre utile e dilettevole. E non intendendo affrontare di petto i grandi temi della storia, della cultura e della società.

Sul fronte di ciò che ho letto nei blog, ho notato, in ordine sparso, letture di sicuro più attente delle mie, anche perché derivanti in genere da chi a Milano ci vive o ci ha vissuto, a differenza del sottoscritto, ma riguardanti la bellezza particolare di certe strade e di certe case, di sicuro diverse da quelle che a me sono rimaste maggiormente impresse o a me ignote, perché certe scelte non possono che essere personali, l'incanto di certi dintorni immersi ancora nella natura, la nostalgia per pregressi costumi sociali, le piccole, grandi curiosità, come quelle circa l'attecchimento di piante e fiori tipici di climi più caldi.

Mi voglio fermare personalmente a pochi esempi. Chi lascia Santa Maria delle Grazie, dove è custodito il Cenacolo, svolta verso il centro lungo Corso Magenta, dove molti palazzi sono ornati da quell'adeguata, non intrusiva segnaletica, in oggi abbastanza diffusa nelle maggiori città, che riporta anche l'anno di costruzione: ad un certo punto lungo quell'arteria si rinviene un Museo, dal cui cortile é possibile ammirare un torre delle mura di difesa del IV° secolo, quando Milano era capitale dell'Impero d'Occidente. Da quelle parti, non molto lontano, se la memoria non m'inganna, c'è un interessante Museo della Scienza e della Tecnica. Sì, ancora un po' più in là c'è la Basilica di Sant'Ambrogio, ma questa dovrebbe essere abbastanza nota. Ho girato a lungo per trovare la targa che indica dove è stato assassinato - tragica ironia della sorte! - a poche ore dalla Liberazione Eugenio Curiel, giovane dirigente della Resistenza, per sostare in commosso pensiero rivolto a lui e a tanti altri generosi eroi caduti per la Libertà. Girare per le strade per scoprirne i nomi e da questi risalire a personaggi, avvenimenti, date: indubbiamente in una metropoli la scelta può essere ampia! Trovare ancora inseriti in nuovi rioni retaggi dell'agricoltura di un tempo.

Il ciclo dei miei contatti con Milano si è sviluppato lungo l'arco di circa sessant'anni. Trascurando i ricordi di Duomo, Castello Sforzesco, modellino dell'Andrea Doria che, salendo, spiccava a sinistra dei binari della Stazione Centrale e Zoo, posso sottolineare che circa ad otto anni venni accompagnato a vedere la Pietà Rondanini, tutto trepidante perché già informato che era l'opera lasciata incompiuta dal grande Michelangelo. E che, più o meno, in quel periodo ho visto, se non rammento male, non lo specifico Museo, ma una vera grande Mostra del Risorgimento. Il costruendo Pirelli e la costruenda Metropolitana. Rapporti di famiglia, in seguito lavoro, manifestazioni, nuovi rapporti di famiglia hanno accompagnato la mia relazione con Milano. A Milano da sempre, per me, il fascino del tram con il suo scampanellio particolare; in seguito, anche quello del metrò. A Milano o andando e venendo da Milano ho assistito a fatti curiosi; talora qualcosa di più che curiosi. Tante storie, insomma. Forse qualcuna da raccontare. Ma se la malia esercita da una grande città su di un bambino degli anni '50 può essere retrospettivamente, soprattutto se inquadrata nel processo di crescita della civiltà materiale, abbastanza compresa, trovare da adulto bello, superata la fase giovanile tipica di ogni generazione, ma indifferente a tanti particolari, l'insieme, come è capitato a me, di strade e di case qualunque ha veramente qualcosa di misterioso.

Per questi motivi, forse, non mi è venuto fuori a caso l'esempio di Milano per sostenere, come invero sostengo, che città, borghi, vie, case, pietre stesse parlano, se opportunamente interrogate. E dicono tante cose.


mercoledì 13 ottobre 2010

Simboli e conti della Storia

Moconà, Argentina   via Sergio Panigo
Ieri sera, 12 ottobre, data troppo nota per essere sottolineata, passando su Facebook per un veloce, per così dire, saluto all'amico argentino Sergio Panigo, mi sono accorto che dall'altra parte dell'emisfero nella ricorrenza sussisteva un consistente numero di articoli impostati sulla richiesta (credo di avere ben inteso in tale caso lo spagnolo) di scuse ufficiali della Spagna per i genocidi compiuti secoli fa a danno dei nativi.

La storia, il progresso, la cultura stessa dell'umanità si sono alimentati da sempre di simboli più o meno evidenti, poiché tale formulazione sembra congeniale all'animo umano in genere. In ordine, allora, all'esemplarità di taluni gesti, un'istanza come quella che proviene dal Rio de la Plata e dintorni, anche se quella storia, come la Storia in genere, é stata ormai riscritta in chiave più umanitaria, credo sia del tutto condivisibile.

Qualche illustre precedente é già iscritto agli atti, anche se, in genere, ripensandoci, sembrano dei mezzi passi in avanti. Così mi appaiono, per lo meno, le revisioni operate negli Stati Uniti nei confronti degli indiani.

Pensando all'epoca delle cosiddette scoperte geografiche, ci sarebbe, pertanto, qualcosa da guardare in casa di diverse nazioni, mentre con la Francia per prima verrebbe logico spostare l'analisi al colonialismo del 1800, se é vero, come é vero, che solo pochi anni fa quel Parlamento negò il riconoscimento dei pregressi misfatti compiuti oltremare. E tentare di capire quali pentimenti istituzionali, a parte qualche tardiva ammissione sulla tratta di esseri umani dall'Africa, siano accaduti in quelle che erano le potenze di due secoli fa.

In questi giorni in Germania, che compie invero da anni ogni giorno, dopo le distrazioni del primo dopoguerra, poderosi conti con il proprio nefando passato nazista e che ha decisamente pagato cospicue rate del proprio debito verso l'Olocausto, a Berlino viene inaugurata o é già in corso una mostra sull'epoca di Hitler, da cui per autocensura sono stati espunti tutti gli eventuali elementi agiografici per sempre purtroppo probabili nostalgici. Prima o poi c'é da augurarsi venga fatto da quelle parti anche qualche ragionamento sulla passata presenza nel Continente Nero: per ironia tragica ne potrebbe assurgere a triste simbolo la figura di Emin Pascià, teutonico avventuriero individualista, già in verità al servizio degli inglesi per la prima penetrazione nel Sudan, da molti studiosi identificato nel personaggio chiave di "Cuore di tenebra" di Conrad, a sua volta modello del capitano Kurtz di "Apocalypse Now" di Coppola.

Ci sono le nuove e progressive rivisitazioni della Storia, ma c'é ancora impellente necessità di alcuni fatti simbolici, dunque.

Va in controtendenza, allungando lo sguardo ad oriente, l'esaltazione di sanguinari imperatori cinesi. Ed anche di Gengis Khan. Inutilmente il poeta inglese cantò del di lui nipote, Kubilai, che udiva "voci ancestrali profetizzanti guerra".

Indubbiamente il discorso porterebbe lontano: qualche conto con la Storia, tuttavia, va pur fatto. E gli argomenti non mancherebbero.

Prescindendo dagli anni recenti, perché sono ancora cronaca, e portando, però, la riflessione su temi abbastanza di continuo ripresi da mass-media e da varia pubblicistica, occorre sottolineare che non é stata ancora elevata sufficiente sdegnata memoria per le vittime civili di tanti inutili bombardamenti aerei alleati della seconda guerra mondiale.

Da ultimo, merita due parole il nostro Paese, che i conti con il proprio sanguinario passato coloniale odiernamente li fa soprattutto affidando ad un truce colonnello libico l'incarico di massacrare tanti disperati del XXI secolo.


sabato 9 ottobre 2010

Il sangue é randagio

"Il sangue é randagio" é un romanzo di James Ellroy che conclude il ciclo iniziato con "American Tabloid"; il secondo é "Sei pezzi da mille". In tutti, a mio avviso, si conferma un grande scrittore. Certo, le vicende scelte come soggetto sono già di per se stesse fonti di alta ispirazione, dal momento che vengono soprattutto affrontati i retroscena dei grandi delitti "politici" statunitensi, quali quelli di John Kennedy, di Martin Luther King, di Robert Kennedy.

L'autore intesse una trama, che ha delle radici lontane nel tempo, sino agli anni '20, fitta di episodi e di personaggi, facendo ruotare in primo piano da un'opera all'altra figure di fantasia sempre al centro degli avvenimenti. La conclusione si situa intorno all'epoca di Nixon Presidente. Tutto, intorno a queste figure principali, che sono già o diventano presto assassini spietati, é crimine, o quasi; tutto, o quasi, é complotto. Ed é un americano che riscrive gran parte della recente storia americana! FBI, CIA, polizie varie: soprusi ed illegalità a non finire!

Più facile riflettere su Hoover, direttore (nessun Presidente ebbe il coraggio di rimuoverlo) per più di quarant'anni del Federal Bureau, se solo si sta attenti a certi particolari del film su Dillinger (quello con Johnny Depp), uscito non molto tempo fa'. Tra l'altro, curiosamente, orecchiando nei giorni scorsi con fare distratto un telegiornale, mi sono imbattuto in una frase (da me percepita, quindi, in modo avulso dal contesto) attribuita al Nostro: "Il FBI non é la Gestapo!". Il fatto é che, avendo letto a sufficienza su Hoover prima di ritrovarlo nei libri di Ellroy, quel giudizio io, invece, tra me e me, me lo ero fatto proprio, per cui quelle parole, che non sapevo essere state effettivamente pronunciate, mi hanno fatto l'effetto di "excusatio non petita, culpa manifesta!". Indubbiamente la persecuzione di innocenti, il trionfalismo di risultati, gli occhi chiusi verso la mafia, in quanto tutto subordinato all'anticomunismo praticato come puntello del proprio potere, sono elementi decisamente assodati dagli storici nei riguardi della gestione Hoover (morto nel 1972 ancora in pieno servizio).

Solo che nei romanzi in questione i personaggi simpatizzanti della sinistra e di un sindacalismo diverso da quello ufficiale sono in genere così insignificanti, che solo un sadismo istituzionale dedito alla ricerca di informatori ricattabili (come per le polizie di tutti tempi e di tutto il mondo!) poteva loro dedicare energie e risorse sotto forma di pedinamenti, violazioni del segreto postale, intercettazioni ambientali (ancora rudimentali, per la verità!) e telefoniche, infiltrazioni ed altro di sbirresco ancora.

Geograficamente in questo ciclo si viaggia molto, anche fuori dagli USA. I principali teatri americani sono Washington, Chicago, Los Angeles, Miami, Dallas, Las Vegas, come città. E gli Stati relativi, con un particolare rilievo per la Florida. Ma ci sono, anche, all'estero, Cuba, il Vietnam, il Centro America.

Il crocevia di tutte le storie é, in effetti, la velleità della mafia americana di riprendersi i casinò sequestrati dal (all'epoca!) neo-regime di Fidel Castro: un'ipotesi molto accreditata da varie fonti, ripresa anche di recente da alcuni giornali.

Non potevano mancare, allora, i campi di addestramento per i mercenari della tentata invasione di Cuba del 1962, le esercitazioni ed i riti funesti del Ku-Klux-Klan, una visione in presa diretta del fallito sbarco nella Baia dei Porci, la coltivazione dell'oppio ed il traffico dell'eroina in e dall'Indocina per finanziare attività eversive e la mafia, i summit mafiosi (anche per l'affare dei casinò di Las Vegas), le connesse infiltrazioni di CIA e mafia in Centro America a sostegno o per insediare sanguinosi regimi dittatoriali. Le azioni in Centro America sono descritte in pagine di alta drammaticità e di grande implicita condanna (di cui il conservatore Ellroy, tutto preso dall'ispirazione artistica, forse non si é reso pienamente conto) dei misfatti statunitensi, mai pienamente svelati come in questa occasione.

Il ritmo del racconto viene spesso scandito da titoli e sottotitoli di giornali (presumo quasi tutti reali) e da apocrifi documenti segreti FBI, i quali ultimi sono estremamenti illuminanti, perché ricalcati su quanto gli archivi hanno poi rivelato, soprattutto circa la paranoia che Hoover nutrì verso Luther King, spiato (ed é un eufemismo) anche dopo il conseguimento del Premio Nobel per la Pace.

Conscio del fatto che su Internet probabilmente si trova materiale in abbondanza su Ellroy, aggiungo solo poche considerazioni ancora, sempre spinto dalla mia passione per questo autore.

Mi incuriosisce come se la sia cavata l'autore con certi problemi legali che, sempre da un articolo letto di recente, ritengo particolarmente pesanti in America. Non solo Hoover e le vittime degli attentati di Dallas, Memphis e Los Angeles, infatti, ma anche altri personaggi storici affollano la scena, da Howard Hughes, che vuole comprare i casinò di Las Vegas dai mormoni e dalla mafia e che finanzia qualsiasi presunta attività patriottica, a Marilyn Monroe, che compie una fugace apparizione, puntualmente intercettata dagli eversori. Ci sono, poi, dei camei con figuri che si erano già visti in precedenti romanzi.

Il ciclo termina con la descrizione alta del ruolo di alcune donne. Non dico altro per non svelare la trama. In questa serie le donne, tuttavia, sempre care all'autore, presumo per l'ossessione derivante dall'assassinio della madre, non si limitano ad essere vittime e ad avere un quid di romanticamente diverso dagli uomini.

Si attribuisce talora ad Ellroy la riscrittura della presunta storia sotterranea statunitense. Tanto presunta non é. Almeno per le trame contro Cuba, per gli interventi golpisti in Centro e Sud America e per i traffici in droga della CIA parlano da tempo documenti ufficiali, così come per le tante innumerevoli deviazioni del FBI di Hoover. E sui grandi delitti politici una verità istituzionale non verrà mai pronunciata...


sabato 2 ottobre 2010

Costa Azzurra e ... dintorni

Roquebrune - Cap Martin, Cap Martin

Parto dai soliti platani? Ma no, é un argomento serio! I profumi di Grasse? A dire il vero, non riesco a ricordarli: ho più nella memoria, anzi, quasi nel naso, le fragranze delle vecchie distillerie di Bordighera e di Porto Maurizio.

La Turbie
Il cioccolato, allora. Quello nero, fondente, ottimo, dalla marca che non vado a declinare, anche se non c'é più. Si trovava solo nei negozi di là dalla frontiera. Fantastico per fare le castagnole, il dolce tipico di Ventimiglia. Almeno, lo usava la nostra vicina di casa di Nervia e castagnole così buone non ne ho più mangiate. Neanche adesso che la leccornia ha il marchio di origine comunale.Vatti a fidare dell'ufficialità! Certo che, a quei tempi, che tre tavolette o giù di lì facessero già contrabbando! Come le banane. Pure quelle piccole, del Senegal: mai più viste! Certo che riempirci poco alla volta la casa di cioccolato et similia, perché poi lo zio potesse portare il tutto con calma nella visita annuale ai parenti nel contado di Parma!

Beh, le colline da Far-West sopra Cap d'Ail e Monaco, no? Lo zoo di Montecarlo. Mont Agel e Grammondo ed altro, visti dal basso.

Gite scolastiche e non. La Valle Roja nella parte francese. Fuori mano? Va bene, ma ditelo ai francesi, che te la segnalano già da Cannes. La vecchia ferrovia Ventimiglia-Cuneo ancora in disarmo: ponti crollati, binari interrotti, malconcia segnaletica d'anteguerra. La Valle delle Meraviglie per salire a Monte Bego. Il primo laghetto, Pic-nic. Filmino, se c'é ancora. Non pervenuto se riversato in dvd. E, dall'altra parte, verso il mare, l'Acquario di Monaco: sì, però, l'ho guardato bene tanti anni dopo. E Monaco é Costa Azzurra? Sì, mi pare si dica di sì.


Il Trofeo d'Augusto a La Turbie.

Eze Village, il nido d'aquila de la Côte: giusto, ma che era tutto ricostruito l'ho capito già allora, anche se distratto da cose più bizzarre che rinvenivano i compagni più smaliziati, tipo un certo disegnino sullo jus primae noctis esercitato dal castellano.

Nizza - Promenade des Anglais

A Nizza...



Nizza Vecchia...


A Nizza, ancora, il monumento a Garibaldi. In quella piazza soprattutto la farinata. Socca, come la chiamano sul posto.

Nizza: Piazza Garibaldi
I sabati pomeriggio, al netto delle vacanze estive, '67 e '68, in auto con l'amico che metteva Jimi Hendrixx a manetta. Erano già diffusi i mangianastri? Sporadiche aggregazioni altrui. Ma allora la Costa tutta ed anche l'entroterra. Su certe stradine non ci sono più tornato, credo. Non c'era ancora l'autostrada. Bevuti con gli occhi tutti gli scorci panoramici possibili. Fermarsi fuori dalle città, tuttavia. E così, talora, nella zona a cavallo tra mare e Valle Roja. Sospelle. Bella! Come la sottostante parte alta della Val Bevera. Il Festival del Cinema a Cannes, l'anno della contestazione generale. Città vuota, cartelloni sì. Perché mi sovviene quello di "Grazie, zia"? Lisa Gastoni callipigia nature? Altri frammenti, da riservare, se del caso, a discorsi più seri.

Subito dopo, due vendemmie a Les Arcs. Dal treno, l'incanto delle rocce rosse sul mare. Al ... lavoro, in talune pause guidare, autorizzato, per divertimento il trattore solo usando la frizione: danni lievissimi alle vigne! Una domenica (nella banda c'erano una o due auto di ventimigliesi arrivati dopo e ripartiti prima) tutti o quasi a Saint-Tropez. La strada in collina non finiva mai. Vuoi vedere che era la collina dei Mori (Les Maures)? Quella che chiude l'orizzonte, nelle belle giornate, dall'Italia. Digressione. Intestardirsi a capire da vicino, di nuovo tanti anni dopo, dove sia di preciso quella che da lontano sembra una gobba di dromedario. Nella vulgata popolare, del cammello. Andare a Frejus e rompere le scatole al vicino di bordo per tutto il tragitto. Chiedere inutilmente a regatanti nostrani. Fatta l'ipotesi guardando le cartine, vedersela confermare dal velista rinsavito. Se ci pensavo quando viaggiavo di più ... Comunque a Saint-Tropez, facevo già l'impostato. Unica cosa interessante per me, già allora, una piccola torre ante Mille.

Il Carnevale di Nizza? Con quella mia testa di allora! L'ho apprezzato anni dopo in funzione della gioia dei bambini. All'epoca, bella compagnia, quella sì, confusione, e ... ma sì platani, nel ricordo platani. Devono averli tolti. Perché il centro di Nizza me lo sono girato e rigirato nel tempo. Ma lì platani, non più.

Saltare qualche intermezzo. Ancora due gite in pullman. Vence o Saint Paul de Vence? Sono vicine. Museo d'arte moderna. Tabula rasa. E non faccio ricerche su Internet o altrove. Sempre la mia testa nelle nuvole. Però, Grasse, sì. Ma per cosa? Per la fermata a a Nizza. Perché quel mercato dei fiori di "Caccia al ladro" c'era ancora. Dove Cary Grant finisce tra le ceste. E assaporare "54" dei Wu Ming che ricostruiscono quel parziale backstage (o come si dice). Il tutto rielaborato, certo, dopo.

La Turbie - una vista su Mont Agel

Mi fermo appena superati i miei vent'anni? Per forza. Non é il caso di farla tanto lunga. E dopo? Continuerò? Vedremo.

Intanto, metto una foto dalla vendemmia. Anno 1969, mi pare. A Les Arcs-sur-Argens, dipartimento del Var. Ma la definizione completa, comprensiva di "sur-Argens" l'ho trovata su Wikipedia. Nel mio ricordo quel paesone era solo Les Arcs. Come avevo già scritto qualche riga qui sopra.